Blog
Il successo della pasta secca è dovuto alla possibilità di gustarla in tantissimi modi con i più disparati formati, con un costo accessibile alla stragrande maggioranza della popolazione e non per ultimo che può essere conservata per molto tempo. Qualità quest’ultima che in passato – soprattutto prima della rivoluzione industriale – ne favorì l’uso e la diffusione assumendo via, via un posto di rilevo nella cucina anche popolare e non solo in Italia.
Le sue origini non sono certo quelle narrate dalla “leggenda” che attribuisce a Marco Polo (nel XIII secolo) l’importazione dalla Cina, si trovano trace scritte già nel 1154 ad opera dell’arabo Ibran’al Mibrad che cita di una pasta secca a forma di filo (pasta fatta con farina di grano duro poi esposta ad essiccare al sole) in uso a Palermo e prodotta a Trabia dove se ne fabbricava in grande quantità. Il grano duro avendo bisogno di un clima mite e soleggiato era coltivato in Sicilia e questo fece nel medio evo della Sicilia il maggiore (forse l’unico) esportatore di questo prodotto, non solo in Italia (Genova in particolare), ma anche verso altri Paesi. Inizialmente gli spaghetti erano chiamati Tria (da Trabia) e nel medio evo maccheroni, solo nel XIX secolo, con la pubblicazione del dizionario della Lingua italiana nel 1819 presero il nome di spaghetti (1).
Tracce scritte dell’uso degli spaghetti si trovano in un testamento del 1279 dove nell’inventario notarile di una eredità si elenca anche una cesta piena di spaghetti (macheronis) il che lascia presupporre che gli spaghetti all’epoca avevano un certo valore e non erano quindi una pietanza popolare, ma in uso alle famiglie di un certo rango sociale. Sempre nel XIV secolo nel Libro della Cocina di Anonimo toscano (2) si citano gli spaghetti in una ricetta: << De la tria genoese per ll’nfermi>> (spaghetti bolliti in acqua di mandole e sale). Il famoso ricettario del XV secolo di Maestro Martino <<Libro de arte conquinaria>> riportata diverse ricette: <<Per fare maccaroni romaneschi>>, <<Per fare maccaroni in altro modo>>, <<Per fare i maccaroni siciliani>> e quella <<Per fare i vermicelli>>. Il procedimento per fare i maccaroni consiste nello stendere la pasta di farina che sia bella un poco più grossa che quella delle lasagne, et avvolta intorno ad un bastone, estratto il bastone viene tagliata per la lunghezza di un dito (stringhe, una specie di bucatini). Nella ricetta siciliana si aggiunge il bianco d’uovo <<fa questa la pasta dura … dapoi fanne pastoncelli lunghi un palmo et sottili quanto una pagliuzza>> (procedimento simile a quello che tutt’oggi è ancora in uso, ad esempio, nel messinese e che ne conserva il nome maccheroni).
Come accennato la pasta secca (ad esempio condita con formaggio e pepe) era un piatto del ceto benestante soprattutto dal medio evo almeno sino al XVII secolo quando la sua produzione iniziò ad essere meccanizzata con l’uso del torchio e della trafilatrice. Solamente nell’800 la pasta fu abbinata al pomodoro diventando il piatto nazionale che si è diffuso nel mondo. A tal proposito in "Sull'alimetazione del popolo munuto di Napoli - per Enrico Renzi" (1863) , si cita il fatto che i pomodori a Napoli sono molto utilizzati anche come "... condimento abituale dei maccheroni ..." giornaliero del ceto medio.
- Bertotto M, Storia della pasta secca, Il Biellese 2020
- Anonimo toscano Il libro della cucina del sec. XIV, in Raccolta dei testi per la storia della gastronomia a cura di Mori E. 2018
- Migliari, M.L., Azzola A., Storia della gastronomia, Edipem 1978
La Fiat 600 multipla si può ritenere un esempio ben riuscito dell’ingegno italiano nel settore delle automobili. E’ un progetto dell’ing. Dante Giacosa (1905-1996) che ha anche progettato la Topolino 500 A (1936), la Fiat Nuova 500 (1957), la Fiat 600 (1955), la Bianichina (Autobianchi), e le Fiat 1100, 1400, 1800, 124, 127, 130, A112 (Autobianchi-Fiat), ecc.
L’ing. Giacosa progettò quasi in contemporanea sia la 600 multipla che la 600, progetti denominati dalla Fiat rispettivamente come Progetto 100 multipla e Progetto 100 (Fig. 1, 2)
La Fita 600 multipla fu il primo monovolume prodotto in serie (Fig. 3), l’antesignana degli attuali monovolumi anche se nel 1932 fu progettato un monovolume la Scout Scarab (scarabeo) da W. Bushel Stout in chiaro design Art Déco originariamente con scocca in alluminio e successivamente in acciaio (Fig. 4). Lunghezza poco meno di 5m, montava un motore Ford V8 a tre marce, ma di fatto non fu mai prodotta se non in pochissimi esemplari dalla Stout Motor Company (forse solo 9) realizzati a mano.
La Fiat 600 multipla fu presentata per la prima volta al salone di Bruxelles nel 1956 e prodotta dallo stesso anno fino al 1967 in tre versioni: a quattro- cinque posti con ampio bagagliaio, a sei posti su due file e per uso Taxi. I sedili tutti reclinabili permettono di sfruttare tutto o parte del volume della vettura al punto che poteva essere utilizzata anche per allestirvi un letto matrimoniale. Tutto questo per una vettura di appena 3,53m di lunghezza, 1,45m di larghezza con un’altezza di 1,58m.
Era dotata di trazione e motore posteriore con sospensioni rinforzate della 1100: 1^ serie con cilindrata da 633cc, quattro marche (la prima non sincronizzata), potenza di 22 CV e velocità massima 95 km/h. Nel 1960 fu prodotta la 2^ serie (Fiat multipla 600-D) con motore da 24 CV di 767 cc (motore a ciclo otto), velocità massima 105Km/h.
Una macchina di piccole dimensioni che si caratterizzò per la sua ampia versatilità (Fig. 2) di impiego e per l’attenta ottimizzazione dello spazio interno. In 3,54m di lunghezza con un passo di 2,0m, si ricavarono 6 posti, l’alloggiamento del motore, del serbatorio di 29 litri e di tutti gli organi meccanici. L’autovettura conquistò anche l’attenzione del Times, ma fu molto discussa al suo esordio al punto di essere stata anche oggetto di critiche (sarcastiche) per la sua insolita forma.
Nel primo anno di produzione non ebbe il successo che la Fiat si attendeva anche per il suo prezzo maggiore di quello della Fiat 600 entrata in produzione nel 1955 (730.00 Lire contro le 590.000 lire), per poi affermarsi con successo nel mercato con circa 245.000 vetture vendute, diventando negli anni ‘60 l’icona della macchina per la famiglia italiana.
Per turismo balneare si intende quello che ha come destinazione le località marittime.
Volendo sinteticamente ripercorre la storia del turismo balneare, questa la si può leggere con due prospettive: quella medica legata al benessere e alla salute e quella economico-sociale dove le località marittime diventano un “luogo di innovazione turistica” (1) e di inclusione.
Dopo la caduta dell’Impero Romano si chiuse il capitolo delle Terme diffuse in tutto il territorio dell’Impero, aperte a tutti e tanto amate e frequentate dai romani dal II sec a.C. al V sec. d.C. Luogo di incontro e di svago, dove si potevano godere i benefici del bagno e delle saune, quasi una città nella città, dove ci si lavava, si praticava la ginnastica, ecc.. Nei secoli che seguirono il bagno a mare era considerato un’abitudine pericolosa per la salute e una pratica poco consona alle cosiddette persone civili, praticato solamente dal ceto più basso della società come i pescatori, la ciurma delle navi e i contadini (per lavarsi e meglio sopportare la calura).
Nel XVII secolo cambiò l’atteggiamento dei medici che iniziarono ad elogiare i benefici delle terme. Iniziò così la costruzione di nuovi stabilimenti termali ad uso delle classi più agiate che potevano soggiornarvi e usufruire dei benefici dei bagni termali.
Nei primi decenni del XVIII secolo i medici iniziarono a raccomandare il bagno in acqua salata dopo aver riscontrato gli effetti benefici per la salute nelle terme di Scarborough (Inghilterra) dove l’acqua aveva infiltrazioni di acqua marina e raccomandarono di fare il bagno a mare in acque fredde e addirittura di berla. Il bagno a mare divenne curativo (per il rachitismo e per aiutare la ripresa dei convalescenti, su quest’ultimo aspetto oggi avremmo molte perplessità) e in particolare in Inghilterra iniziò il turismo verso le località costiere e iniziarono a diffondersi gli stabilimenti balneari. Moda che contagiò poi anche la nobiltà europea che era invece abituata a trascorre le vacanze nelle proprie tenute di campagna e di lì a poco questa moda contagiò anche l’alta borghesia e in seguito anche la media borghesia grazie al miglioramento delle proprie condizioni economiche dovuto all’industrializzazione. Le località balneari si attrezzarono per fornire servizi differenziati adeguati alle diverse fasce sociali. In questo periodo (tutto il XVIII secolo) la spiaggia non era un luogo attrezzato dove sostare a prendere il sole, ma era utilizzata per arrivare al mare per fare il bagno, o qualche passeggiata.
Nel XIX secolo i medici si convinsero che l’aria di mare faceva bene all’organismo, soprattutto per curare le malattie polmonari, invitando di conseguenza a sostare in riva al mare, rimanendo però dell’idea che il bagno nelle acque fredde del mare era un toccasana per l’organismo. Si andava al mare completamente vestiti e la spiaggia non era un posto particolarmente ospitale e privo di attrezzature come oggi siamo abituati a vedere, per cui dopo il bagno nelle acque fredde si ricercava il comfort nelle strutture ricettive, questo contribuì a dare il via alla urbanizzazione delle località costiere. Il Mediterraneo però almeno fino a XIX secolo, era considerato un posto caldo, afoso non in linea con le “credenze mediche dell’epoca”, sino a quando i medici scoprirono i benefici del sole e la pelle abbronzata non fu più considerata un brutto inconveniente. Sino ad allora la pelle abbronzata era sinonimo di appartenenza alle classi sociali più povere come i pescatori o i contadini. Il mediterraneo divenne quindi la meta privilegiata del turismo balneare a discapito di quello del Nordeuropa che ovviamente entrò in crisi. Di conseguenza la spiaggia divenne un luogo dove sostare a prendere il sole e di vita sociale. Cominciarono così ad affermarsi soprattutto in Italia e in Francia (tra i primi decenni e la metà dell’800) le prime località turistiche attrezzate come Viareggio, Venezia, Rimini, Livorno, Napoli, Palermo e la costa marsigliese.
All’inizio del XX secolo, fatta eccezione degli anni della Priama Guerra Mondiale e dell’immediato dopo guerra, le località marittime dell’Europa meridionale erano la meta preferita dell’aristocrazie e dell’alta borghesia che vi sostava anche per svernare, godendo del clima mite di queste località. Iniziano a diffondersi le guide turistiche e l’ampliamento delle reti ferroviarie e il diffondersi delle automobili favorirono questo turismo di élite (2).
Si può dire che gli italiani iniziarono a frequentare le località balneari durante il Governo Mussolini grazie allo stanziamento di cospicui investimenti per la costruzione di Colonie estive (Gestite dall’Opera Nazionale Maternità e Infanzia, Cfr. post nel blog “Briciole di storia: L’Opera Nazionale Maternità e Infanzia -O.N.M I”) che hanno dato la possibilità anche ai figli dei ceti meno ambienti di godere delle vacanze estive al mare, unitamente ad attività ricreative e ginniche.
Nel dopo guerra tra gli anni ’50 e i primi anni ’60 con il cosiddetto boom economico si assiste in Italia ad un vero e proprio turismo di massa verso le località di mare e per concludere, facendo riferimento all’evoluzione del turismo vacanziero di Battilani (1), si possono individuare le seguenti fasi:
- negli anni ‘50, si assiste ad un turismo di massa di “tipo spontaneo” favorito dal miglioramento delle condizioni economiche delle famiglie e all’uso sempre più diffuso dell’auto in sostituzione del treno. L’offerta ricettiva si diversifica, accanto ai grandi alberghi di lusso nascono una miriade di attività ricettive a conduzione familiare molto più economiche in grado di offrire servizi di base;
- negli anni ’60 e ‘70 , alla piccola impresa a conduzione familiare si sostituisco le grandi catene ricettive in grado di applicare costi di soggiorno medio-bassi in linea con l’affermazione dei Tour Operator e i voli charter. Un “pacchetto” offerto a costi vantaggiosi giocando sull’economia di scala avviando così un processo di internazionalizzazione del turismo;
- tra gli anni ’80 e ’90 questo modello di turismo inizia ad entrare in crisi. La vacanza non è più semplice svago o evasione, ma un’opportunità di fare nuove esperienze e ampliare le proprie conoscenze. Ai voli charter si sostituiscono quelli low cost che consentono di raggiungere diverse e molteplici località turistiche a costi medio-bassi e dagli anni ’90 la diffusione di Internet permette alle varie destinazioni turistiche di promuoversi al di fuori dei classici mezzi di informazione (TV e tour operator). Si passa ad un modello di turismo sempre più personalizzato, nuovi luoghi e nuove possibilità come percorsi letterari, del vino, pacchetti benessere, ecc. Inizia anche a cambiare il rapporto dei Cittadini con le Città che offrono attività estive di vario genere, in sostanza le Città scoprono la propria vocazione turistica.
- Dal 2000 (volendo dare una data di riferimento) il diffondersi dei social networks permette ai residenti delle località turistiche e più in generale di ogni luogo del territorio (Città comprese) di promuovere la propria attività turistica e allo stesso tempo <<ciascun turista sulla base delle proprie esperienze può diventare un creatore di nuovi prodotti. Si entra nella fase del turismo relazionale, un modo in cui la capacità di mantenere i propri clienti nel tempo … si lega alla capacità relazionale che gli operatori del settore e gli stessi residenti sanno mettere in campo>> (1)
- Battilani P., “Vacanze di pochi vacanze di tutti”, Il Mulino 2009
- (2) Eco U. (a cura di) “ Storia della civiltà europea”, EncycoMedia
Con il primo conflitto mondiale (1914-1918) gli USA fu il Paese che trasse il maggior profitto grazie alle esportazioni verso l’Europa in guerra di prodotti agricoli e industriali diventando negli anni ’20 la prima potenza economica mondiale e la sua moneta (il dollaro) divenne la valuta più forte a discapito della Gran Bretagna che perse il ruolo della “cassaforte economica mondiale”.
Negli anni ’20 del secolo scorso gli americani beneficiarono di un benessere economico diffuso e il Governo mise in atto una politica protezionistica e di isolamento politico per difendere lo status economico raggiunto (anche da ampi stati della borghesia americana).
In Europa finito il conflitto mondiale, pian piano le economie dei vari Paesi iniziarono a riprendersi riducendo considerevolmente le importazioni dagli USA, sia di prodotti agricoli che industriali.
Le esportazioni americane andarono così via via a riducendosi e il mercato dei beni di consumo durevoli si saturò lasciando molti di questi invenduti (nessuno comprava perché già li possedeva). Finì così lo sviluppo economico dei ruggenti anni ’20 e iniziò la depressione economica che investi pesantemente l’agricoltura e l’industria americana sfociata nel crollo della borsa di New York del 29 ottobre 1929 che mise economicamente sul lastrico moltissimi investitori che persero i loro capitali. Molte industrie fallirono, gli agricoltori si videro esportare le fattorie dalle banche che negli anni passati avevano elargito loro prestiti e l’insolvenza di questi crediti provocò anche il fallimento di molto Istituti di credito con conseguenze catastrofiche nella società americana. Si contarono più di 15 milioni di disoccupati e un impoverimento di larghi strati della società americana. Il Governo americano non intervenne, né per salvare le banche e quindi i depositi delle famiglie, né l’industria lasciando di fatto al mercato la funzione di regolatore e stabilizzatore economico.
Ma già in quel periodo le economie mondiali erano interconnesse e la crisi investì anche l’Europa, colpendo in particolare quei paesi come la Gran Bretagna, l’Austria, la Germania e i Paesi Latini che avevano stretti rapporti economici e finanziari con l’America. L’America ritirò anche i prestiti per la ripresa nel dopo guerra (piano Dawes) che aggravò ulteriormente la crisi economica in questi Paesi. In Europa le democrazie cominciarono a vacillare sulla spinta di un malcontento diffuso che si concretizzò in manifestazioni anche violente i cui Governi tentarono di contenere anche con la forza. Con il perdurare della crisi in molti settori della società si rafforzarono i sentimenti nazionalisti e si maturò un forte desiderio stabilità sociale che favorì il consenso verso schieramenti politici guidati da uomini autoritari reputandoli in grado di riportare l’ordine sociale e una migliore equità economica in alternativa al comunismo. Così, ad esempio, in Germania nel tempo aumentò sempre più il consenso verso il Partito Nazional Socialista (Nazista) che dopo il susseguirsi di diversi governi di breve durata, approdò nel 1933 dopo elezioni al Governo. Nello stesso periodo non pochi all’estero (Francia, Gran Bretagna ad esempio) guardavano con interesse all’Italia dove dal 1922 si era insediato il Governo di Mussolini, che aveva garantito stabilità sociale e politica dopo i disordini sociali dell’immediato dopo guerra (1919-1921), sfociati in sommosse, manifestazioni, occupazioni di fabbriche da parte degli operari e serrate (chiusura delle fabbriche) imposte dagli imprenditori come risposta.
Ma agli inizi degli anni’30 si guardò con interesse all’Italia per le scelte economiche fatte dal Governo considerate come alternativa all’economia capitalista o centralizzata (comunista) e in particolare all’istituzione dell’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale, istituito il 21 gennaio 1933). Inizialmente l’IRI doveva avere un carattere temporaneo per far fronte alla crisi economica e industriale del Paese conseguente, sia alla crisi del ’29 che alla improvvida rivalutazione monetaria operata nel ’27. La novità sostanziale di questa Istituzione consisteva nell’intervento pubblico a sostegno dell’economia del Paese per favorire e facilitarne lo sviluppo, in cui lo “Stato Imprenditore” per mezzo dell’IRI (ente autonomo e indipendente), partecipava direttamente alla riorganizzare del sistema bancario e alla ricollocazione delle partecipazioni bancarie nelle imprese.
Quando nel 1937 l’IRI divenne un Ente permanente, furono istituite due sezioni distinte: una bancaria costituite da tre banche (Banche di Interesse Nazionale – BIN) con maggioranza di capitale pubblico e un’altra industriale con la partecipazione di capitale pubblico nelle imprese. L’IRI era sotto il controllo del Tesoro nella forma di Ente Pubblico di Gestione. Le imprese controllate dall’IRI erano di fatto Società commerciali di diritto privato che avevano anche significative partecipazioni di capitale privato. Le Società dell’IRI avevano all’epoca un rilievo strategico: siderurgia, cantieri navali, industria meccanica e elettromeccanica e gestioni di reti e servizi. La gestione delle imprese era basata sul principio della redditività quindi, in una forma profondamente differente dalle imprese nazionalizzate.
Nel 1992 iniziò la privatizzazione dell’IRI con la Presidenza dell’Ente di Romano Prodi che portò poi alla sua messa in liquidazione il 27 giugno del 2000 con il secondo Governo Amato. L’IRI cessò la sua attività l’1dicembre 2002.
Breve sintesi bibliografica:
Stiria dell’IRI, ed. IBS.ir
La crisi del ’29, di Fumian C., Novecento .org
I costi della politica che incidono sui bilanci familiari dei Cittadini sono anche quelli dei Servizi erogati da Società a capitale interamente o a maggioranza pubblica come quello idrico, dello smaltimento dei rifiuti, ecc., create dagli stessi Enti pubblici con proprio capitale (Comuni per fare un esempio) nelle varie forme societarie come Società a Responsabilità Limitata (S.r.l.) o per Azioni (S.p.a.). Servizi spacciati come “a gestione pubblica” da parte di società che per loro natura sono a scopo di lucro e operano nel mercato come tutte le altre a capitale privato. Ma credo che queste Società siano utili ai soli partiti che nominano di fatto i componenti dei Consigli di Amministrazione, perché il loro operato non è vincolato al rispetto delle normative per i servizi erogati direttamente da Enti pubblici come i Comuni e le Regioni come avveniva in passato con una gestione diretta, sottraendolo al vaglio (controllo) del Consiglio comunale, o regionale. Per fare un esempio, queste Società che gestiscono i servizi per conto dell’Ente pubblico, anche se sono costituite con capitale a maggioranza pubblica di proprietà degli stessi Comuni o Regioni, possono assumere personale, affidare consulenze, fare investimenti operando liberamente come tutte le società private. I servizi gestiti da queste Società sono poi affidati nella sostanza in regime di monopolio (in House) senza alcuna concorrenza del mercato. Da questo stato di cose ne deriva che possono applicare tariffe per i servizi erogati conseguenti alle proprie autonome scelte societarie (numero di personale assunto, investimenti fatti, ecc.) e non dipendenti dalla libera concorrenza di mercato a discapito dei Cittadini (utenti) che pagano questi servizi. Viene da dire: non prendiamo in giro spacciando come servizio gestito dal pubblico quello che nei fatti non lo è!!
- Briciole di storia: A proposito dell’Anniversario dell’Unità d’Italia è l’ingresso di Garibaldi a Palermo
- A proposito della proposta di istituire Regioni ad Autonomie Differenziate
- Briciole di storia dimenticata: i ragazzi italiani che in Africa riuscirono a difendere la zona di Bir el Gobi contro le soverchiati forze inglesi
- A proposito della Moka un design italiano di successo degli anni ‘30