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Placido Munafò

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A proposito dell’Intelligenza Artificiale e lo sviluppo tecnologico

Che la politica ha dovuto fare i conti con l’evoluzione tecnologia credo che sia un dato di fatto. Prima della rivoluzione industriale il potere decisionale (politico) regolava i rapporti sociali attraverso la Legge che per sua natura aveva una certa reversibilità, e il progresso tecnologico era in qualche modo compatibile con la struttura sociale esistente. Le cose cambiano dopo la rivoluzione industriale, dove il progresso tecnologico ha sempre più condizionato il potere decisionale limandone la capacità di influenzarne lo sviluppo (1), (2) e di conseguenza modificando la società e i rapporti sociali e le leggi che hanno sempre più perso il carattere di reversibilità. Di fatto, la struttura della società si è evoluta in una condizione di sempre più bassa entropia (1) che si può tradurre in un sempre maggiore rischio di instabilità. Con l’introduzione dell’Intelligenza Artificiale (AI), si potrebbe ragionevolmente pensare che si transita da un sistema tecnologico che fa da interfaccia tra   l’uomo e la natura, ad un sistema tecnologico governato dalla AI, ovvero in grado di interfacciarsi con il sistema tecnologico al posto dell’uomo. Aspetto questo che oggi ha aperto la questione etica a livello di Governance. Da un lato, c’è chi sostiene che la AI è comunque controllabile dall’uomo e amplia notevolmente le sue capacità operative essendo capace di elaborazione molti più dati e più rapidamente dell’uomo. Dall’altro lato c’è anche chi sostiene (3) che l’evoluzione nel tempo della AI la potrebbe rendere capace di auto riprodursi e superare le capacità umane, soppiantandolo anche nel potere decisionale grazie alle sue capacità di elaborazione dei dati. Ad oggi onestamente non so dire quali di questi due scenari si verificherà nella realtà e se si verificheranno. Sta di fatto però che a questa evoluzione tecnologica va posta attenzione e in particolare, al fatto che ci si avvicina sempre più  ad una “riduzione critica” dell'entropia del sistema sociale con un sempre più probabile rischio di instabilità del sistema sociale stesso. Penso che sia proprio questo il nodo centrale che merita attenzione da parte della politica.  Un nuovo spazio che si è inaspettatamente aperto alla politica al di là di questioni etiche sul rapporto uomo e IA e che potrebbe assumere un ruolo importante nelle scelte della politica da oggi in aventi.

(1)     P. Munafò “Notes on Technique and Innovation”, Atti convegno Colloqui.AT, Palermo 2024

(2)     Ellul J., La tecnica. Rischio del secolo, Giuffré, Milano, 1969

(3) M. Tegmark “L’universo matematico”, Ed. Boringhieri

I caduti della Prima e Seconda guerra mondiale: una curiosità che lascia pensare

(f.to Ist. LUCE)

Andando a spulciare i dati  sui militari italiani caduti e sulle vittime civili della Prima e Seconda guerra mondiale, si rimane sorpresi del fatto che nella Prima guerra mondiale i militari caduti sono stati 651.000 c.a. a cui si aggiungono 150.000 c.a.  vittime civili per un totale di c.a.  801.000 morti.  Un conflitto il primo, che prevalentemente ha interessato il settore nord est del territorio nazionale investendo in maniera più limitata anche altre zone come ad esempio la costa adriatica. Per contro le vittime militari italiane del Secondo conflitto mondiale - comprendendo anche i caduti della Repubblica Sociale Italiana e i partigiani – dal dato aggiornato nel 2010 del Min. della Difesa, sono state 319.202 a cui vanno sommati c.a. 157.000 vittime civili per un totale di c.a. 476.00 vittime, poco più della metà delle vittime italiane del Primo conflitto mondiale, anche se in questo caso la guerra ha interessato tutto il territorio italiano e le colonie (campagna d’Africa)

Forse potremo essere soli nell’Universo

 

Fino al XVI secolo era ampiamente accettato il fatto che la Terra era al centro dell’Universo (modello geocentrico), con Copernico ci si è resi conto che è la Terra a girare intorno al Sole (modello eliocentrico). Nel XIX secolo si scoprì che il sistema solare faceva parte di una galassia, la Via Lattea con miliardi altre stelle oltre al nostro Sole. Solamente cento anni fa si scoprì che esistevano altre galassie oltre la Via Lattea e fino agli anni 90 del secolo scorso i pianeti noti erano quelli che fanno parte del sistema solare. Negli ultimi trenta anni grazie al progredire della tecnologia, si sono potuti scoprire molti altri pinetti in altri sistemi solari della Via Lattea (stimanti in circa 6 miliari). la Via Lattea ha iniziato a formarsi circa 800 milioni di anni dopo il Big Ben ed ha terminato la sua evoluzione dopo circa 2 miliardi di anni. Si è stimato che la Via Lattea abbia un’età di circa 12 miliardi di anni; quindi, 10 miliardi di anni fa ha completato la sua evoluzione. Se consideriamo che la terra si è formata circa 4,5 miliardi di anni fa e che l’Universo ha un’età di circa 13-14 miliardi di anni e che l’uomo (essere vivente con una coscienza) è apparso appena 150 mila anni fa, viene spontaneo chiedersi se altri esseri viventi dotati di coscienza popolino la nostra galassia? La risposta abbastanza comune a questa domanda è che statisticamente parlando sia molto probabile che possano esistere. Considerando però che la terra si è formata miliardi di anni dopo che la Via Lattea ha terminato la sua evoluzione, credo che, se altri esseri viventi (con una coscienza) popolino la nostra galassia in un qualunque altro pianeta ne avremo avuto delle prove anche nel breve lasso di tempo (poco più di cento anni) in cui l’uomo ha la tecnologia per rilevare altre presenze viventi nell’Universo (finestra temporale tecnologica). Per questo sembrerebbe probabile (o possibile) che siamo soli, per “lo strano silenzio” come scrive P. Davies (1), ovvero l’assenza di qualunque segno di vita rilevabile oltre il nostro pianeta e considerando l’età della Via Lattea e quella della terra, tenendo anche conto che sono occorsi miliardi di anni per far nascere la vita nel nostro pianeta. È poi anche da tener presente che la formazione della vita da una combinazione di atomi è un evento particolarmente raro e tanto più la formazione di un essere vivente con una coscienza (2). Se ci spostiamo oltre la Via Lattea M. Tegmark (3) calcola che la “civiltà” più vicina a noi si potrebbe trovare ad una distanza compresa tra 1022e 1026   metri e se considerando che il nostro universo ha un raggio pari a 1026 metri, si escluderebbe la passibilità che nel nostro universo vi siano altre forme di vita. Anche se la possibilità che nell’universo siamo soli potrebbe creare sconforto, il fatto che l’universo comunque abbia un senso perché esistiamo come forme di vita cosciente dovrebbe confortarci.

(1) P. Davies, Uno strano silenzio, Codice Ed.

(2) F Dyson, Many-Colored glass. Reflectionos the Place of Life in the Universe, Virginia Pre

(3) M. Tegmark L’Universo matematico”  Ed Boringhieri

 

Briciole di storia: a proposito delle origini della pasta (secca)

 

Il successo della pasta secca è dovuto alla possibilità di gustarla in tantissimi modi con i più disparati formati, con un costo accessibile alla stragrande maggioranza della popolazione e non per ultimo che può essere conservata per molto tempo. Qualità quest’ultima che in passato – soprattutto prima della rivoluzione industriale – ne favorì l’uso e la diffusione assumendo via, via un posto di rilevo nella cucina anche popolare e non solo in Italia.

Le sue origini non sono certo quelle narrate dalla “leggenda” che attribuisce a Marco Polo (nel XIII secolo) l’importazione dalla Cina, si trovano trace scritte già nel 1154 ad opera dell’arabo Ibran’al Mibrad che cita di una pasta secca a forma di filo (pasta fatta con farina di grano duro poi esposta ad essiccare al sole) in uso a Palermo e prodotta a Trabia dove se ne fabbricava in grande quantità. Il grano duro avendo bisogno di un clima mite e soleggiato era coltivato in Sicilia e questo fece nel medio evo della Sicilia il maggiore (forse l’unico) esportatore di questo prodotto, non solo in Italia (Genova in particolare), ma anche verso altri Paesi. Inizialmente gli spaghetti erano chiamati Tria (da Trabia) e nel medio evo maccheroni, solo nel XIX secolo, con la pubblicazione del dizionario della Lingua italiana nel 1819 presero il nome di spaghetti (1).

Tracce scritte dell’uso degli spaghetti si trovano in un testamento del 1279 dove nell’inventario notarile di una eredità si elenca anche una cesta piena di spaghetti (macheronis) il che lascia presupporre che gli spaghetti all’epoca avevano un certo valore e non erano quindi una pietanza popolare, ma in uso alle famiglie di un certo rango sociale. Sempre nel XIV secolo nel Libro della Cocina di Anonimo toscano (2) si citano gli spaghetti in una ricetta: << De la tria genoese per ll’nfermi>> (spaghetti bolliti in acqua di mandole e sale). Il famoso ricettario del XV secolo di Maestro Martino <<Libro de arte conquinaria>> riportata diverse ricette: <<Per fare maccaroni romaneschi>>, <<Per fare maccaroni in altro modo>>, <<Per fare i maccaroni siciliani>> e quella <<Per fare i vermicelli>>. Il procedimento per fare i maccaroni consiste nello stendere la pasta di farina che sia bella un poco più grossa che quella delle lasagne, et avvolta intorno ad un bastone, estratto il bastone viene tagliata per la lunghezza di un dito (stringhe, una specie di bucatini). Nella ricetta siciliana si aggiunge il bianco d’uovo <<fa questa la pasta dura … dapoi fanne pastoncelli lunghi un palmo et sottili quanto una pagliuzza>> (procedimento simile a quello che tutt’oggi è ancora in uso, ad esempio, nel messinese e che ne conserva il nome maccheroni).

Come accennato la pasta secca (ad esempio condita con formaggio e pepe) era un piatto del ceto benestante soprattutto dal medio evo almeno sino al XVII secolo quando la sua produzione iniziò ad essere meccanizzata con l’uso del torchio e della trafilatrice. Solamente nell’800 la pasta fu abbinata al pomodoro diventando il piatto nazionale che si è diffuso nel mondo. A tal proposito in "Sull'alimetazione del popolo munuto di Napoli - per Enrico Renzi" (1863) , si cita il fatto che i pomodori a Napoli sono molto utilizzati anche come  "... condimento abituale dei maccheroni ..."  giornaliero del ceto medio.

  • Bertotto M, Storia della pasta secca, Il Biellese 2020
  • Anonimo toscano Il libro della cucina del sec. XIV, in Raccolta dei testi per la storia della gastronomia a cura di Mori E. 2018
  • Migliari, M.L., Azzola A., Storia della gastronomia, Edipem 1978

Briciole di storia: Il primo monovolume prodotto in serie, la Fiat 600 Multipla

 

 

La Fiat 600 multipla si può ritenere un esempio ben riuscito dell’ingegno italiano nel settore delle automobili. E’ un progetto dell’ing. Dante Giacosa (1905-1996) che ha anche progettato la Topolino 500 A (1936), la Fiat Nuova 500 (1957), la Fiat 600 (1955), la Bianichina (Autobianchi), e le Fiat 1100, 1400, 1800, 124, 127, 130, A112 (Autobianchi-Fiat), ecc.

L’ing. Giacosa progettò quasi in contemporanea sia la 600 multipla che la 600, progetti denominati dalla Fiat rispettivamente come Progetto 100 multipla e Progetto 100 (Fig. 1, 2)

La Fita 600 multipla fu il primo monovolume prodotto in serie (Fig. 3), l’antesignana degli attuali monovolumi anche se nel 1932 fu progettato un monovolume la Scout Scarab (scarabeo) da W. Bushel Stout in chiaro design Art Déco originariamente con scocca in alluminio e successivamente in acciaio (Fig. 4).  Lunghezza poco meno di 5m, montava un motore Ford V8 a tre marce,  ma di fatto non fu mai prodotta se non in pochissimi esemplari dalla Stout Motor Company (forse solo 9) realizzati a mano.

La Fiat 600 multipla fu presentata per la prima volta al salone di Bruxelles nel 1956 e prodotta dallo stesso anno fino al 1967 in tre versioni: a quattro- cinque posti con ampio bagagliaio, a sei posti su due file e per uso Taxi.  I sedili tutti reclinabili permettono di sfruttare tutto o parte del volume della vettura al punto che poteva essere utilizzata anche per allestirvi un letto matrimoniale. Tutto questo per una vettura di appena 3,53m di lunghezza, 1,45m di larghezza con un’altezza di 1,58m.  

Era dotata di trazione e motore posteriore con sospensioni rinforzate della 1100: 1^ serie con cilindrata da 633cc, quattro marche (la prima non sincronizzata), potenza di 22 CV e velocità massima 95 km/h. Nel 1960 fu prodotta la  2^ serie (Fiat multipla 600-D) con motore da 24 CV di 767 cc (motore a ciclo otto), velocità massima 105Km/h.

Una macchina di piccole dimensioni che si caratterizzò per la sua ampia versatilità (Fig. 2) di impiego e per l’attenta ottimizzazione dello spazio interno. In 3,54m di lunghezza con un passo di 2,0m, si ricavarono 6 posti, l’alloggiamento del motore, del serbatorio di 29 litri e di tutti gli organi meccanici. L’autovettura conquistò anche l’attenzione del Times, ma fu molto discussa al suo esordio al punto di essere stata anche oggetto di critiche (sarcastiche) per la sua insolita forma.

Nel primo anno di produzione non ebbe il successo che la Fiat si attendeva anche per il suo prezzo maggiore di quello della Fiat 600 entrata in produzione nel 1955 (730.00 Lire contro le 590.000 lire), per poi affermarsi con successo nel mercato con circa 245.000 vetture vendute, diventando negli anni ‘60 l’icona della macchina per la famiglia italiana.

 

  1. Briciole di storia: a proposito del turismo balneare, alias le “vacanze a mare”
  2. Briciole di storia: la soluzione italiana alla crisi economica del 1929
  3. A proposito dei costi della politica: i sevizi erogati da Società a capitale pubblico (idrico, rifiuti, ecc.)
  4. Briciole di storia: A proposito dell’Anniversario dell’Unità d’Italia è l’ingresso di Garibaldi a Palermo

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