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La Tiella di Giuseppe Mazzini di Edoardo Micati - Un mix di racconti e ricette leccesi e messinesi

Con vero piacere pubblico questo scritto inedito di mio cugino Edoardo Micati, un mix coinvolgente di racconti e ricette della cucina leccese e messinese,  uno spaccato che profuma dei sapori del passato.

Placido Munafò

 

 

 

Micati Edoardo

 

     

La Tiella di

Giuseppe Mazzini

 

 

 

Era l’ultima domenica del mese di maggio del 2022 quando io e Franca percorrevamo Via XX settembre a Lecce fermandoci ad osservare ciò che esponevano le baracche del “Mercatino dell’Usato”.

Solitamente ci soffermiamo di più da quelle che mettono in mostra dei libri, e in una di queste son rimasto attratto da due libri con una copertina rigida in cartone. Dei due il più piccolo, con un formato 10 x 15, la aveva in marrone scuro con striature dello stesso colore molto più chiare ed il dorso in pelle con la scritta in oro. Subito ho capito che era un libro prezioso, infatti l’edizione del 1880 delle “Odi Barbare di Giosuè Carducci”.

Il secondo, senza editore, forse una stampa personale, sempre con la copertina di cartone verde scuro, anche lui col dorso in pelle ma senza il nome dell’autore, solo Giovanni Cantinori medico di Firenze.

Il libro si intitolava “Io e Giuseppe”.

Senza fa trasparire il mio interesse chiesi quanto costavano.

- Mi dia 22 euro e sono suoi.

Poco dopo a casa ho fatto delle ricerche al computer ed ho saputo tutto del libricino di Carducci. Edizione del 1880 delle "Odi Barbare" di Giosuè Carducci, edita a Bologna da Nicola Zanichelli, con la dicitura "Enotrio Romano terza edizione riveduta e corretta", impreziosita dalla dedica in tedesco del poeta e scrittore tedesco August V: Platen.

Un libro di gran valore, letterario, e come ho scoperto poi anche monetario.

Di Giovanni Cantinori nessuna notizia su Internet e spulciando le prime pagine ho capito che narrava della sua prigionia a Gaeta dal 1865 al 1871, non facendo alcun riferimento al motivo della sua incarcerazione.

Andando avanti nella lettura diceva d’aver conosciuto e d’essere diventato amico di Giuseppe Mazzini, personaggio storico e figura chiave del Risorgimento italiano, arrestato a Palermo il 14 agosto 1870 e portato nel carcere militare di Gaeta, dove rimase fino al suo rilascio il 13 ottobre dello stesso anno.

Si avvicinò Franca chiedendomi di farle vedere il libro.

La prima cosa che fece fu sfogliare velocemente le pagine.

Vidi che ebbe un sussulto.

- Edoardo, guarda, ho trovato questo fogliettino. Che strana scrittura, quasi indecifrabile.

- Tipica dei medici, dai vediamo di capire.

E Franca: Il titolo è “La Tiella di Giuseppe Mazzini”.

- Però, che strano, tempo fa ho fatto una ricerca su questa benedetta tiella e risultava che non esiste una "tiella di Giuseppe Mazzini" nel senso di un piatto tipico o ricetta a lui associata, probabilmente nasce da un'errata associazione di termini, era un patriota e filosofo italiano, noto per il suo ruolo nel Risorgimento, non per la sua cucina. È più probabile che la frase sia un errore di battitura o una confusione con un altro contesto.

- E invece Edo cerchiamo di riscrivere questo foglio, dai, si legge: “Nella farina macinata fina, la metà di un chilogrammo, mettete 20 grammi di lievito madre, due bicchieri di acqua, una tazzina di olio di oliva, il sale, e impastate. Ricordatevi di avvolgere la pasta in uno strofinaccio per circa 30 minuti per farla lievitare, e intanto fate bollire un chilogrammo di polpi o di calamari, poi tagliateli e condite con olio, prezzemolo, peperoncino, olive senza nocciolo, dei pomodori spellati, altro olio e sale”.

- Però che fatica a leggere come scrive sto dottore.

- Dai, Edoardo, continuiamo.

“Dividete in due pezzi l’impasto e fate due dischi. Ungete la teglia e mettete il primo disco di pasta, quindi inserite il ripieno e ricoprite col secondo disco. La Tiella di Giuseppe Mazzini è fatta, infilatela nel forno e state attenti di tirarla fuori quando la pasta si sarà colorata, e non mangiatela calda, tiepida è speciale”. 

- Franca, Ma ti rendi conto che abbiamo in mano la ricetta della famosa Tiella di Giuseppe Mazzini, quella che tutti ritengono inesistente. Che dici la facciamo?

- Sì, ma assieme a noi voglio nostro figlio Michele, lui è un bravo cuoco e saprà utilizzare al meglio ciò che scrive il dottore Giovanni Cantinori.

- Son d’accordo, chiamo Michele e gli dico di trovare un polpo fresco o dei calamari, ma preferirei il polpo, per quanto riguarda la pasta ci penso io.

- Tu? Sì, tu per pesare la farina …

- Cattiva.

- Certo, ma vedrai come io e Michele saremo buoni. Dai, chiama Michele.

- Che ti ha detto?

- Bene vuole che gli mandi la ricetta con una mail e mi ha chiesto di non dirlo assolutamente a nessuno, per il momento neanche a Salvo e Caterina.

Bene, fagliela avere.

 

 

Il giorno dopo: Papà metti la chiamata in viva voce, fai ascoltare anche alla mamma.

E’ interessante, se non altro per sfatare la leggenda della inesistenza di questa ricetta, ma nessuno deve sapere degli ingredienti. Vi aspetto domani a mezzogiorno all’osteria perché la cucinerò.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lecce, ore 13, Osteria Duezerotre.

Ci accolsero Michele e sua moglie Patrizia, e ci accomodammo a tavola.

-Assaggerete la Tiella così come la descrive la ricetta.

Dopo pochi minuti ci trovammo sulla tavola la benedetta Tiella, messa su un piatto grande, era stata infornata in una teglia da crostate da 24 cm, bella da vedere, invitante da mangiare, e quando il cameriere la tagliò per servircela subito dissi: perché queste fette dimezzate?

E Michele: prima provala e se ti piacerà ne avrai un’altra.

Misi il piatto sotto al mio naso per odorare, un profumo molto invitante accelerò l’assaggio.

- Favolosa, Mazzini dovrebbero farti santo, favolosa, pronto per la seconda fetta.

E Michele: Non ci sarà una seconda fetta, almeno di questa, fra poco ne assaggerai un’altra, sempre Tiella di Giuseppe Mazzini, ma rivisitata a modo mio. Intanto brindiamo con questo Negramaro Rosato del Salento, fresco al punto giusto.

E si ripresentò il Simone il cameriere con una seconda tiella dall’aspetto simile alla precedente.

Michele ci chiamò in disparte: Mamma, papà, nella ricetta gli ingredienti da condire sono: un chilogrammo di polpi o di calamari lessati con l’aggiunta di olio, prezzemolo, peperoncino, olive senza nocciolo, pomodori spellati e sale. In questa mia ho creato una salsina con il prezzemolo, peperoncino, olive snocciolate, i pomodori spellati, con l’aggiunta di origano, erba cipollina, basilico e capperi, il tutto finemente tagliato e immerso nell’olio a coprire il polipo lesso. Quindi ricopertura di pasta e in forno a 180 gradi per circa 30 minuti o fino a quando la superficie diventerà dorata.

Da non credere, appena fu tagliata partì un odore che invase la sala e subito notai l’interessamento dei commensali a noi vicini.

Simone, disse Michele, fai delle fette ancora più piccole da far assaggiare anche ai nostri amici.

Incredibile, appena ognuno si trovò il piatto davanti con la porzione di tiella, fu come se tutti fossero stati comandati a fare lo stesso gesto, si videro le facce piegare il viso sul piatto, odorare, rialzare, prendere in mano la fettina, mettere in bocca, masticare estasiati, e poi all’unisono applaudire.

Intanto Patrizia aveva fatto mettere su ogni tavolo una bottiglia di Negramaro Rosato e tutti si unirono a brindare al suono di bicchieri che si toccavano.

Michele prese la parola: Avete provato una mia nuova ricetta, si chiama la “Tiella di Giuseppe Mazzini”, e da oggi entrerà nel menù di ogni giorno, ditelo ai vostri amici. Grazie

Ci fu un applauso generale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Una quindicina di giorni dopo mi chiamò Michele e sempre con “...metti il vivavoce e fai sentire alla mamma”. Voglio dirvi che grazie a voi due, alla mia rivisitazione della ricetta, c’è stato un passaparola e stiamo avendo tante richieste, addirittura son venuti a cenare il console dell’Arabia Saudita a Bari assieme ad un illustre califfo che a fine pasto ha voluto parlarmi e mi ha chiesto, al prezzo che io avrei stabilito, di vendergli la ricetta, ma anche proponendomi di aprire un ristorante a Riad.

E tu cosa gli hai detto?

- No.

- Come no, farebbe la vostra fortuna.

- Non se ne parla proprio, alla mia età non mi interessa, avessi dei figli ci penserei, ma poi ho già fatto le mie esperienze all’estero, mi bastano.

E Franca: Ti capisco, però puoi vendergli la ricetta.

- No, fino a quando camperò la saprò solo io, poi è depositata da un notaio assieme e delle altre e in seguito gli eventuali eredi decideranno.   

Ed io: Se hai deciso così sia così. Vedi che domani verremo per la tua tiella di Giuseppe Mazzini, ci saranno pure Caterina con Alessandro e Salvo con sua moglie Lorenza e Edoardo e Silvia.

- Vi aspetto.

- Cara moglie abbiamo fatto un figlio testa dura, io avrei accettato, chissà quanto avrebbe sborsato, senza contare la possibilità di un suo ristorante a Riad.

E Franca: Michele ha sì la testa dura, ma anche un suo orgoglio, è stato sempre così, non cambierà ora che sta sugli “anta”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il rifiuto irritò il califfo, e disse al console che avrebbe pagato tanto a chi gli avesse fatto avere la ricetta sottraendola al cuoco.

E a Bari il console si rivolse a Nicola, detto Colino, che in altre occasioni gli aveva risolto casi riguardanti dei cittadini della sua nazione.

E Colino accettò l’incarico e si trasferì a Lecce ospite del suo collega leccese Nzino, diminutivo di Oronzo.

Nzino conosceva l’Osteria Duezerotre di Michele, ci era andato più volte, così decise di prenotare per due persone per la stessa sera.

A ordinare fu Nzino, Colino non proferì parola. “Porta la tiella de lu Garibaldi”.

- Di Mazzini, rispose il cameriere.

- Sine, n’imu capiti. Ma dimme, ci l’ha chiamata cussì?

E il cameriere: Se si chiama la Tiella di Giuseppe Mazzini sarà merito suo.

E Nzino: Ma quandu mai, quiddhu era buenu sulu pe fare politica e, comu tutti li politici de ieri e de osce (oggi) è buenu sulu a futtere li cristiani e a mangiare. Porta due birrone puru.

- Veramente consiglierei del vino, il Negramaro rosato.

- E sia, portalu.

Colino: Che ci frega chi l’ha fatta, ci interessa come trovarla, magari la tiene scritta da qualche parte, in un libro di ricette. Secondo me informati dove abita questo Michele e mentre lui e sua moglie stanno qui noi andiamo a fargli una visitina a casa sua.

Nzino: Oggi mi informo e domani che è domenica, quindi saranno impegnati cu li tanti clienti, facimu na visita a casa loru.

Domenica verso le quattordici.

Nzino: Allora stanno allu quintu pianu, e quistu ete lu mazzu de le chiai (chiavi) ca aprenu de tutte le parti, salimu cu l’ascensore, citti citti (zitti zitti) puru se moi (ora) li cristiani sta mangianu.

Entrati cominciarono a vedere da ogni parte, sempre rimettendo ogni cosa al suo posto, fino a quando Colino avvertì: trovato, trovato un grosso quaderno tutto pieno di ricette, fotografiamo pagina per pagina e rimettiamo tutto come prima.

Nzino: Giustu, cussì nu s’accorgenu mancu.

Risalirono in macchina e Colino volle subito vedere se c’era, fra le tante, anche la ricetta della Tiella.

Dopo un minuzioso controllo esclamò: Stramilamurt ca tin (a tutte le migliaia di morti che ha), sta mbam (infame) de Tielle non c’è. E mo?   

- E mo ci penso io, tie tornate a Bari, mi metto davanti all’osteria e dalla macchina osservo tutto e quando c’è la giusta situazione metto in macchina lu Micheli e me fazzu dire la ricetta.

- E come fai a metterlo in macchina?

Nu te preoccupare usa sempre la motocicletta e quandu lo vedo arrivare lo urto, tanto in quella strada dove abita ci passa poca gente, così lu mintu (metto) intru alla machina e cu lu curtieddhu alla gola, m’ha dire la ricetta. Poi ne dau na botta an capu e lu minu (getto) an terra.

Però Colino e Nzino non potevano sapere che la signora Tetta, da tutti nel palazzo conosciuta come la spia delle scale, aveva visto i due entrare ed uscire dalla casa di Michele e Patrizia e a sera inoltrata, quando tornarono aprì la porta, li chiamò e rivelò quanto aveva visto.

Patrizia: andiamo a vedere Michele.

E anche la signora Tetta si intrufolò, e in tre si misero a controllare.

Patrizia: Signora Tetta, ma sei sicura che sono venuti da noi, magari ti sbagli porta?

- None, none su trasuti (entrati) quai.

E dalla camera da letto Michele chiamò: venite, sono entrati, il quaderno con le ricette lo lascio sempre nel cassetto del mio comodino, come sai di notte mi metto a scrivere quando mi invento delle ricette.

E la Tetta: Beatu a ssignuria, ieu me sonnu sempre lu Donatucciu miu, ca an cielu stae, spettandu li numeri per na bella quaterna, ma saietta se me li dae, me dice sempre: comu stau beddhu an paraisu, speriamu quandu mueri tie cu bbai all’infiernu cussì nu ne edimu. Mmalluratu! (Speriamo che quando muori tu vai all’inferno così non ci vediamo. Cattivo)

E Patrizia: Signora Tetta cara, siccome facciamo la denuncia ai carabinieri, vorrebbe venire con noi? 

- Ca certu, a disposizione sempre

La signora Tetta disse ai carabinieri che li aveva visti solo da dietro quando uscirono per prendere l’ascensore ma che capì che uno dei due era barese perché si rivolse all’altro mettendo fretta “Ronzine sciamaninne sciamaninne (andiamocene), se era leccese ia dittu sciamunde”.

I carabinieri assicurarono che avrebbero fatto le dovute ricerche e che sarebbero stati informati.

Ovviamente Michele e Patrizia misero al corrente i parenti e gli amici più cari, chiedendo al personale la massima attenzione e di riferire se qualcuno li dovesse insospettire.

 

Giugno 2022.

Erano circa le diciannove, i nipoti Edoardo e Alessandro aspettavano, seduti ad un tavolo dell’osteria fra quelli sistemati nel marciapiede sotto agli ombrelloni, l’arrivo dei rispettivi genitori.

Fu Alessandro ad accorgersi che in un’auto parcheggiata dirimpetto c’era uno che con un piccolo binocolo guardava ciò che avveniva nel ristorante.

- Edoardo, guarda, ma senza dimostrare interesse, quel tipo che in quella Fiat Panda azzurra con un binocolo controlla tutto ciò che accade qui. Mi alzo e vado avvertire lo zio Michele.

Entrò in cucina e lo informò.

Michele: telefono subito ai carabinieri, poi rivolgendosi al suo aiuto cuoco: Edoardo esci, togliti la casacca bianca, queste sono le chiavi della mia Jeep, mettiti accanto a quell’auto e bloccala. Io e miei nipoti assieme a Simone lo tiriamo fuori e lo portiamo qui nel ristorante, in cucina, aspettando i carabinieri.

Ronzino cercò di reagire ma fu afferrato e trascinato, sì trascinato perchè si rifiutava di camminare, in cucina.

Michele: ora tu mi dici tutto.

- E cosa ti devo dire? Anzi mo telefono alli carabinieri e bu denunciu.

- Edoardo riempimi quella pentola di acqua bollente e portala qui, e se non si convince a parlare infilate le sue mani dentro.

- Ehi, ma si pacciu, nu te permettere!

- E allora, mi dici perché sei venuto a casa mia tu e quel barese, chi è, chi lo manda, come si chiama?

- Ieu nu sacciu (So) nienti.

- Dai, infilate le mani nell’acqua.

Appena stavano per essere messe dentro Ronzino li fermò: Sine dicu tuttu.

Ma non sapeva che al di là della porta scorrevole c’erano due carabinieri ad ascoltare, un maresciallo ed un brigadiere.

E confessò tutto.

- Ete lu Colino Stamerra de Bari pe contu de lu console de la Rabbia Saudita.

I due carabinieri che stavano registrando tutto di questa confessione entrarono e lo ammanettarono.

 

Per la cronaca: Nicola Stamerra fu arrestato ed il console saudita accompagnato sino a Roma dove fu imbarcato e consegnato a destinazione da due funzionari italiani.

 

Assieme a Franca ringraziamo tutti quelli che leggeranno questa storia e vogliamo loro regalare…

 

Le Ricette di Franca con il contributo delle nonne, le mamme, la zia, per le salate e le dolci.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le salate

 

 

Per prima la Tiella di Giuseppe Mazzini

 

Ingredienti:

Mezzo kg. di pasta di pane da lievitare o già pronta presa dal fornaio.

All’interno: un chilogrammo di polpi o di calamari lessati con l’aggiunta di olio.

A parte preparate una salsetta con:

Prezzemolo,

Peperoncino o pepe nero,

Olive senza nocciolo,

Pomodori spellati,

Origano,

Erba cipollina o cipolla tagliata a piccoli pezzi,

Basilico  

Capperi

Sale

Il tutto va finemente tagliato e immerso nell’olio a coprire il polipo lesso.

A questo punto stendete la pasta in due cerchi e foderate il fondo della teglia, scaldando il forno a 180 gradi.

Distribuite il ripieno sulla base di pasta, coprite con il secondo cerchio, facendolo aderire al precedente con una serie di scannellature lungo il bordo.

Infornate per 30 minuti o fino a quando la superficie non diventa dorata.    

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spaghetti al tonno e limone alla Franca maniera.

Velocissimi da fare; il condimento si prepara mentre gli spaghetti cuociono, ho utilizzato solo la parte gialla della scorza del limone, tagliata a pezzetti. Profumatissimi e freschi sono perfetti in ogni stagione, da gustare anche tiepidi o freddi.

 

Ingredienti per quattro persone

400 g spaghetti

160 g tonno all'olio d'oliva

10 gr. di capperi

2 spicchi aglio

1 ciuffo prezzemolo

1 scorza di limone (grattugiata)

5 filetti acciuga sott'olio

5 cucchiai olio extravergine d'oliva

q.b. di sale e pepe

 

Preparazione

Portate a bollore una pentola con acqua.

Intanto con un pelapatate o un coltellino affilato prelevate la parte gialla della scorza del limone e tagliatela a pezzetti.

Lavate e tritate finemente anche il prezzemolo.

Scaldate l’olio con gli spicchi di aglio in una larga padella e quando risulteranno dorati eliminateli e aggiungete i filetti di acciughe con i capperi.

Dopo qualche minuto inserite il tonno ben sgocciolato e la scorza di limone poi tuffate nell’acqua bollente salata gli spaghetti.

Prelevate due mestolini di acqua di cottura della pasta e versatela nella padella mescolando.

A cottura scolate gli spaghetti e aggiungeteli al sughetto mescolandoli e, prima di servirli in tavola, aggiungete una spolverata di pepe e il prezzemolo tritato e buon appetito!

 

 

 

 

 

Pasta fritta dolce come la faceva Nonna Maria

 

Ingredienti

300 gr. di spaghetti

50 gr. di caciocavallo grattugiato

100 gr. di zucchero

Olio

Sale

 

Preparazione

Lessate gli spaghetti, scolateli al dente e conditeli con il caciocavallo grattugiato, 2 cucchiai di olio di oliva e lo zucchero.

Friggete in padella con un poco di olio fino a quando non vedrete formarsi una crosta dorata da ambo le parti.

 

E’ un piatto che può essere usato come “primo piatto”, ma Nonna Maria lo faceva ai nipoti per invogliarli a mangiare la pasta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spaghetti alla Messinese alla Franca Maniera

 

In una padella unta d’olio di oliva riponete, a seconda del numero di persone, del pane grattato e fatelo tostare fino a quando sarà indorato, ma attenti a non bruciarlo.

Intanto mettete a cuocere una pentola con dell’acqua salata nella quale inserirete gli spaghetti a voi necessari.

Utilizzando una padella più grande riponete uno spicchio di aglio, delle acciughe salate o sott’olio, diciamo per 4 persone almeno otto dieci filetti. Volendo un peperoncino sottilmente tagliato.

A parte grattugiate la buccia di un limone appena colto e tagliuzzate del prezzemolo.

Appena gli spaghetti saranno al dente scolateli e metteteli nella padella grande aggiungendo, regolandovi voi, appena appena di acqua di cottura, così otterrete un sugo più cremoso.

Soltanto all’ultimo momento aggiungete il pane grattato assieme al prezzemolo e al limone.

Mescolate tutto per bene e servite.

Capirete assaggiandola che è diventata una delle vostre ricette preferite, veloce da preparare, ma soltanto se riuscirete a dare il giusto equilibrio fra pasta, acciughe e pane grattato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La Melanzana Mora.

 

Tagliate a fette o se preferite a tocchetti delle melanzane, riponetele dentro una padella con olio di oliva, uno spicchio di aglio, una sfumatura di cipolla rossa.

A metà cottura inserite dei pomodori succulenti tagliati a piccoli pezzi e continuate per una decina di minuti.

Constatata la quasi cottura delle melanzane aggiungete del prezzemolo tritato, un peperoncino tagliato in due pezzi, per non rendere la pietanza molto piccante, origano, delle foglie di basilico, delle olive snocciolate, dei capperi.

A parte friggete delle fette di pane, preferibilmente di grano, e giratele e rivoltatele sino a quando non diventeranno come se fossero di oro.

A questo punto sistemate le fette nei piatti e stendete sopra le vostre melanzane, e buon pranzo.

Un consiglio riempite dei bicchieri di vino rosso primitivo e brindate alla salute delle Melanzane More.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Un secondo piatto, molto amato, ce lo faceva zia Ina, la moglie di zio Ciccio, il fratello di mia madre.

A dire il vero sembrerebbe un dolce, ma lo voglio presentare come un secondo piatto dolce. Gli zii non avevano figli così spesso eravamo da loro che, bravissima in cucina, ci deliziava sempre. Ad ogni portata zio Ciccio, conosciuto dai noi nipoti come uno tirato, insomma tirchio, ma in effetti non lo era, gli piaceva scherzare, quando eravamo a tavola da loro, io con i miei fratelli Gianfranco e Giovanni, diceva: “matri, matri, Ina quanto mi fascisti spenniri (spendere in messinese).

Ma il “matri matri” più eclatante era quando zia Ina ci faceva

“Le Polpette nere dolci”.     

 

Ingredienti

500 gr. di carne macinata, mista, maiale e vitello.

4 uova

150 gr. di zucchero

250 di mandorle tritate

50 gr. di caciocavallo grattugiato

Un bicchiere di latte

50 gr. di pangrattato.

Per la glassa:

100 gr. di zucchero

100 gr. di cacao amaro

Mezzo bicchiere di acqua

 

Preparazione

Impastate il macinato aggiungendo le uova, lo zucchero, le mandorle tritate, il caciocavallo grattugiato, il latte e infine il pangrattato. Amalgamate il tutto e fate delle polpette che friggerete in olio bollente.

Intanto avete già preparato la glassa sciogliendo in una pentola il cacao con l’acqua, aggiungete lo zucchero e lasciate addensare a fuoco medio.

L’ultima fase per creare una vera bontà, le “Polpette nere dolci”, è immergendo ogni polpetta nella glassa di cioccolato.

Devono essere servite calde, praticamente trasferendole dalla padella alla pentola.

 

 

 

Le Braciolette alla messinese come le faceva nonna Rosa

 

Ingredienti:

Circa 500 gr, di vitellone finemente tagliato a fette

Pecorino grattato

Aglio

Prezzemolo,

Olio di oliva

Sale

Pepe nero.

Stecchini lunghi di legno.

 

Preparazione:

Per prima cosa preparate un trito fine con il prezzemolo e l’aglio e trasferitelo in un contenitore con il pangrattato, aggiungete il pecorino grattugiato, un pizzico di sale, una macinata di pepe nero e olio quanta basta per inumidire il composto.

Da una fetta di vitellone potete ricavarne tre pezzi, cioè delle piccole fettine.

Nonna Rosa e poi Franca mettevano in un piatto fondo il pane grattato aggiustato con gli ingredienti ed in un altro versavano dell’olio di oliva.

A questo punto inzuppavano un lato della fettina bagnandola di olio e quindi la sfregavano nel pane grattato, aggiungendone una ditata al centro, e quindi la arrotolavano ripiegando i laterali verso l’interno in modo da formare un involtino che inserivano nello stecchino lungo.

Alla fine, quando lo stecchino era stato colmato, diciamo con circa sei involtini, veniva passato nel pangrattato aromatizzato da ambo i lati.

Solitamente facevano scaldare un giro d’olio in una padella grande e ci riponevano gli involtini lasciati a cuocere per 3 – 4 minuti a lato.

 

Un sapore incredibile, quando un involtino sarà entrato nella vostra bocca vi sembrerà di volare nel cielo assieme alle persone a voi più care.

 

 

 

 

 

Nonna Rosa ci cucinava “u piscistoccu a missinisa, a ghiotta”, ovvero stoccafisso alla messinese, e ricordo che a casa nostra si gustava almeno una volta a settimana. Papà se lo faceva venire secco da Messina, in balle da circa 20 25 chili.

Per cucinarlo il procedimento era molto lento.

Come si ammolla lo stoccafisso?

Immergete il pesce in acqua fredda ricoprendolo integralmente e riponete la ciotola in frigo per 2 ore. Dopo questo tempo sostituite l’acqua e di nuovo in frigorifero. Da questo momento in poi va cambiata ogni 8 ore per le successive 36/48 ore. Regolatevi in relazione alla grandezza del pesce e al suo spessore.

 

Ingredienti per quattro persone:

1 Kg di polpa di stoccafisso già ammollata

500 gr di patate a cubetti

250 gr pelati

150 gr di pere a dadini

50 gr cipollotti tritati

50 gr concentrato pomodoro

50 gr olive verdi

50 gr di sedano tritato

15 gr capperi dissalati

20 gr di pinoli e peperoncino a piacere

 

Appena ammollato lo stoccafisso, tagliarlo a pezzi quadrati, possibilmente uguali, tritando i cipollotti ed il sedano, e tagliando le patate a cubetti e le pere a dadini

 Quindi nonna Rosa soffriggeva i cipollotti a fuoco basso, aggiungendo man mano gli altri ingredienti, per il momento senza il pomodoro e il pesce stocco.

Dopo circa 5 cinque minuti metteva il pomodoro e continuava la cottura per altri 15 minuti.

 A questo punto inseriva il pesce stocco cuocendo per circa un’ora, continuando ad aggiungere acqua per mantenere “morbido” il piatto.

Dopo tutto questo procedimento la vedevate arrivare con una zuppiera in mano dicendo sempre, “prontu è, enchitivi a panza.”

E dopo nonna Rosa, mia madre Caterina e infine Franca continuarono a portarcelo in tavola.

Con il pesce stocco nonna Rosa faceva anche “A NSALATA”.

Era ed è il mio piatto preferito.

Prima di tutto vanno lessate delle patate che vanno fatte raffreddare.

 

Ingredienti per 4 persone

Patate circa 400

800 gr. di stoccafisso

Olive snocciolate quantità a piacere

15 20 gr. di capperi salati

Dei pomodorini

Una costa di sedano senza i filamenti

1 cipolla

Sale q.b.

Origano

Pepe nero

Olio di oliva

 

Procedimento.

Inserite lo stocco in una pentola colma d’acqua e portatela a bollore, quindi fate cuocere per circa 5 10 minuti, il tempo perchè diventi tenero. Toglietelo e scolatelo facendogli perdere l’acqua, eliminate eventuali lische o pelle, tagliandolo a piccoli pezzetti.

Prepariamo gli altri ingredienti ripulendo i capperi dal sale, tagliate a piccoli pezzi i pomodorini, tagliuzzate la costa di sedano, sbucciate la cipolla eliminando lo strato più esterno e fatene delle rondelle. Aggiungete le olive denocciolate fatte a metà, le patate a pezzi e versate il tutto con lo stocco.

A parte, in una piccola ciotola, versate una buona dose di olio, con un pizzico di sale, origano, e pepe sbattendo con una frusta per ottenere un condimento ben emulsionato che verserete sull’insalata mescolando delicatamente.

 

(Questa ricetta vale anche con il baccalà)

 

 

 

 

 

U’ pisci spada a ghiotta a missinisi

 

ll più bell’omaggio ai pescatori e au pisci spada glielo ha fatto Domenico Modugno con la sua struggente canzone: E pigliaru la fimminedda, drittu drittu ‘n tra lu cori,
E chiangia di duluri.

E la varca la strascinava
E lu sangu ci curriva,
E lu masculu chiangiva.

Amuri miu,
Si tu mori vogliu muriri
‘Nsemi a tia, si tu’ mori amuri miu
Vogliu muriri.

 

Ma il più bel sapore al pesce spada cucinato è stato dato da mia nonna Rosa e da mia madre Caterina, di Galati Sant’Anna una frazione di Messina.

 

Ingredienti per 4 persone

4 fette di pesce spada

320 gr. pomodori

250 di cipolle

20 gr. di capperi

40 gr. di olive verdi denocciolate

pizzichi di origano

6 cucchiai di olio di oliva

 

Taglia le cipolle a rondelle sottili e tienile da parte, denocciola le olive e fai dissalare 20 g. di capperi in acqua.

Versa in una padella 6 cucchiai di olio extravergine d’oliva poi aggiungi le cipolle che avevi tagliato a rondelle e lasciale imbiondire.

Aggiungi i pomodori tagliati a dadini, le olive denocciolate, i capperi e continua la cottura per 5 minuti. Regola di sale se necessario e porta in tavola il pesce spada alla ghiotta ricoperto dal suo sughetto…buon appetito!!!

Sistema sopra al sughetto le fette di pesce spada, mezzo bicchiere di acqua, un pizzico di origano e lasciale cuocere con il coperchio per altri 10 minuti finchè vedrai che l’acqua sarà evaporata.

Irrora a metà cottura le fette di pesce con il sugo che si sta cuocendo per farle ben insaporire.

Regola di sale, se necessario, e porta in tavola il pesce spada alla ghiotta ricoperto dal suo sughetto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I braciola i pisci spada a missinisi

 

Quando nella nostra tavola nonna Rosa, mamma Caterina poi, e dopo ancora mia moglie Franca poggiavano il vassoio con le braciole di pesce spada tutti diventavamo muti, ed ognuno studiava le mosse dell’altro per essere il primo a prendere, sapendo di rischiare una botta sulla mano dalle cuoche che erano velocissime a colpire col lungo cucchiaio di legno.

Insomma, una battaglia fatta di mosse e di contromosse, attacchi e ritirate.

Ma veniamo alla ricetta:

 

Ingredienti (porzioni per quattro spiedini)

350 gr. Pesce spada (a fette fini di circa 3-4 mm)

250 gr. Pangrattato (fresco)

2 cucchiai Parmigiano reggiano (grattugiato)

1 spicchio Aglio

100 ml Olio di oliva

1 cucchiaino Prezzemolo (tritato)

1 cucchiaino Pinoli

1 cucchiaino Capperi (dissalati)

1 pizzico Origano

1 cucchiaio Succo di limone

50 gr. Scamorza (provola)

q.b. Sale

Versate il pangrattato in un contenitore basso e largo e conditelo con l’aglio schiacciato, il prezzemolo tritato, il formaggio grattugiato, i pinoli, l’origano, i capperi tritati e il succo del limone. Mescolate.

Bagnate le sottili fette di pesce spada, nell’olio d’oliva e fatele sgocciolare, per eliminare l’olio in eccesso, e passatele nel pangrattato. Procedete in questo modo, fino a terminare tutto il pesce. Alla fine inumidite con dell’olio il pangrattato condito fino a farlo diventare meno secco e mettete su ogni fetta di pesce spada impanato, un poco del condimento preparato e un dadino di provola. Avvolgete il pesce fino a formare un involtino. Cercate di richiudere i laterali della fetta verso l’interno, in questo modo il ripieno, durante la cottura, non uscirà. Infilzate gli Involtini di pesce spada a missinisa su degli stecchi di legno. Cuoceteli sulla griglia o in forno caldo a 180° fino a doratura di entrambi i lati (15 m circa).

Diceva nonna Rosa “Ora tutti li santi du paradisu chi ni stanu vidennu vulìssiru turnari a essiri cristiani nterra”

Zucchine grigliate alla Franca maniera

 

Un contorno, o antipasto, semplice e molto gustoso.

Un piatto freddo condito con “u sammurigghiu”, una salsa a base di olio di oliva, aglio e origano, capperi. Franca aggiungeva anche dell’erba cipollina, ne avevamo tanta e rigogliosa.

Ogni volta che faceva questo piatto, ora è compito mio, se non riuscivi a servirti prima dei nostri tre nipoti, Edoardo, Silvia e Alessandro, rischiavi di rimanere senza.

 

Ingredienti:

Zucchine appena colte di piccola misura

Aglio

Capperi,

Origano

Erba cipollina

Olio di oliva

pangrattato

a piacere peperoncino

aceto di mele

sale quanto basta

 

Il Procedimento:

Le zucchine vanno tagliate in due parti per lungo e messe ad arrostire su una piastra di ghisa, oppure in una padella anti aderente senza ungerla di olio. Basteranno circa 3 minuti di cottura per renderle morbide e cotte.

Appena pronte vanno messe in una coppa, tagliate a pezzetti di circa due tre centimetri, e quindi condite con “u sammurigghiu”.

Per realizzarlo in una coppetta unire l’aglio tagliato a pezzettini, ed i capperi tagliuzzati, l’erba cipollina (che se non avete potete fare anche senza), il peperoncino, e poi l’origano e il sale.

Quindi mettere questi ingredienti nella coppa con le zucchine e mescolare. A questo punto aggiungete il pangrattato e versare l’olio di oliva sino a quando il pangrattato si sarà amalgamato con il tutto. Un appena appena di aceto di mele, e poi, all’assalto

 

 

 

La Cicerchia

 

Ingredienti per 4 persone: 250 di cicerchie, una patata, una carota, mezza cipolla, mezzo gambo di sedano, tre pomodori, una foglia di alloro, prezzemolo tritato, peperoncino, olio di oliva, sale e acqua.

 

Preparazione

Come al solito, Gioiosa e Carmelino erano andati nel piazzale dell’ex Ospedale Vito Fazzi dove ogni domenica si svolge il Mercato della Coldiretti.

Mentre giravano fra le varie baracche, Gioiosa chiamò il marito: Carmelino, guarda ci sono le cicerchie, finalmente possiamo acquistarle.

E ne presero un chilogrammo. Per chi non lo sapesse la cicerchia, un legume antico, veniva chiamata Tolica salentina, è ricco di proteine e povero di grassi, e si può cucinare in diversi modi, zuppe o condimenti per la pasta.

Arrivati a casa Gioiosa le ripose in uno scaffale, ripromettendosi di cucinarle quanto prima,

Due mesi dopo Gioiosa, in una delle sue abituali rivoluzioni in cucina, nel cambiare di posto i piatti con le pentole, le posate con le tovaglie, il contenuto dei vari cassetti fra di loro, scoprì il barattolo con le cicerchie.

“Guarda dove stavano ste fetenti, mo gli faccio una sorpresa allu Carmelinu miu quandu torna stasira pe la cena”.

 E decise di cucinarle a zuppa, ma prima telefonò a sua suocera Ssuntina, bravissima cuoca.

“Cucinale comu te dicu ieu, però nu le pueti fare pe stasira, nci ole armenu na sciurnata cu le tieni a mollu, quindi le cucini crai (domani) sira (sera)”

“Mamma Ssuntina ca pe quistu t’aggiu telefonatu.”

“Famme dicere, statte citta (zitta). Cra matina sciacquale, controllale casu mai ncete quarche petruzza, e prepara lu suffrittu.

Tagghia na carota a rondelle, menza cepuddha a fettine, lu sedanu, comu t’aggiu mparatu ieu, tuttu sfilettatu, le pitate tagghiate a pezzetti piccinni.

Pigghia na pentula cu nu filu de egghiu (olio di oliva) e minti a fricere nu spicchiu de agghiu cu tutta la camisa, trete quattru prummidori, la cepuddha, la carota, lu sedanu, na fogghia de alloru, e a piacere tou lu diaulicchiu (peperoncino).

Appena lu suffrittu ete prontu, minti la cicerchia e falla nsapurire pe na cinquina de minuti, poi copri tuttu cu l’acqua fridda e fanne cucinare pe circa n’ura e mienzu a fiamma bassa bassa. Quandu ete pronta minti subbra lu petrusinu tagghiatu finu finu. Quista ete la ricetta mia, lu Carmelinu ne ae mattu, però poi statte attenta a le esplosioni.

Esplosioni, m’aggiu preoccupare? Quindi aggiu stare attenta quandu le cucinu?

Te salutu Gioiosa, periccia che cazzu de nume t’hannu datu, poi me faci sapire.

 Ovviamente Gioiosa, che la sera dopo voleva fare la sorpresa, non gli disse della telefonata con sua madre.

 

Il giorno dopo, Carmelino di ritorno dal lavoro, appena aprì la porta di casa sentì l’odore proveniente dalla cucina.

Ciao amore, sono arrivato, ho una fame da lupo, cosa stai cucinando?

Una sorpresa, vai lavati e poi vieni a tavola.

Poco dopo: ti ho fatto la cicerchia, ora prenditi dei crostini di pane fritto, mettili dentro e assaggia.

Come è buona.

 

Ore due di notte, circa.

Gioiosa: Carmelinu miu, sta mini certe bombe puzzolenti, girate almenu de l’autra parte.

E Carmelino: ci sape ce te sta suenni (sogni), nu me pare propriu.

Ore tre di notte, circa.

Carmelinu, basta, mi arrendo, suntu distrutta, m’hai accicerchiata tutta, 

ia (aveva) ragione mammata la Ssuntina ca ia stare attenta da le esplosioni, scappu se no de sicuru pozzu murire.  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La Cecora resta, lu Zangune, le Fae e la Paparina

Disse la Cecora Resta alla Paparina: - A istu per casu dhu fessa te lu Zangune?

- None, ci sape addhu stae, lu sai comu ete, no? Ma dimme, percè lu sta cerchi?

- Percè imu scire alla gara te castronomia addhu nci stannu le fae ca ni sta spettanu.

- Ma, veramente, ta decisa cu partecipi? Li cuncurrienti suntu agguerriti: Pesieddhi, Pasuli, bianchi e niuri e puru cu l’ecchiu, le Linticchie, piccinne e rosse, li Ciceri, lu Farru, la Cicerchia e … tutti s’hannu prenotata na Pignata.

- Ma se ide ca si propriu na Paparina! Ma la sai comu ne presentanu ogne fiata ca partecipamu a na gara? <Ecco a voi la pregiata ditta Cecora Resta & Zangune & Fae, cioè COSA TE DEI!>

- Sì, cosa te dei … na fiata … domila anni fa, moi su tutti raffinati, tutti ggiustati cu le creme, le panne. Tie e dhu scoppiatu te Zangune siti fuori scecu, comu se dice moi siti AUT, CAPUT!

- Sì, la caput de sorda e de zziata! Ma la sai ca le Fae cu se uniscenu a nui se scuagghianu tutte? Ma la sai ca lu Pane de ranu, quiddhru genuinu e niuru, se face fricere pe stare cu nui e cu le Fae? E a bbidere lu mieru russu comu ne secuta, a litri, a tamigiane! E sai ce succede dopu nu picca? Succede ca su fuechi e fumu, nu tirrimotu e … perieddhru a ci cin cappa!

 

Traduzione: Disse la Cicoria alla Papaverina: Hai visto per caso quello scemo di Cardo?

No, chissà dove sta, eppure sai com’è fatto. Ma perché lo cerchi?

Dobbiamo andare alla gara di gastronomia, ci sono le Fave che ci aspettano.

Veramente vuoi partecipare? I concorrenti sono agguerriti: Piselli, Fagioli, neri e con l’occhio, Lenticchie, piccole e grosse, Ceci, il Farro, la Cicerchia e … tutti si sono messi con la Pignata.

Si vede che sei proprio una Papaverina! Sai come ci presentano ogni volta che partecipiamo ad una gara? Ecco a voi la Pregiata ditta Cicoria &Cardo &Fave, vale a dire Cosa da Dei!

Sì, cosa da Dei, una volta, duemila anni fa … oggi sono tutti raffinati, tutti aggiustati con le creme, le panne. Tu e quel suonato del Cardo siete fuori gioco, come si dice ora siete aut, caput!

La caput di tua sorella e di tua zia! Ma lo sai che le Fave per unirsi a noi si liquefanno tutte? Sai che il pane di grano, quello genuino e nero, si fa friggere per stare con noi e con le Fave? E devi vedere il vino rosso come ci segue, a litri, a damigiane! E sai cosa succede dopo un poco? Succede che sono fuochi e fumi, un terremoto e … poveretto a chi ci capita!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le Rape Nfucate

Le rape ieu le llau una a una, fogghia a fogghia, poi tagghiu na cepuddha, nu spicu de agghiu, la mintu intru a nu tegame nu picca autu, sciungu bbastanza egghiu, mienzu diaulicchiu, alloru, le rape e lu sale, senza autra acqua, cu subbra nu tampagnu e cu lu fuecu nu picca autu.

Ogni tantu le giru, se no se ncoddhanu, e quandu suntu quasi cotte lleu lu tampagnu e fazzu cu se consuma l’acqua, insomma ha remanire sulu l’egghiu de cottura, e significa ca le rape s’hannu nfucate.

A stu puntu su pronte, bone pe contornu cu la carne, a mie me piacenu mangiate a sule, ma puru subbra a lu pane de ranu, e le usu sempre quandu aggiu fare le rape cu li maritati. Comu nu sai ce suntu li maritati?

Quandu le recchiette le cucini assieme alli minchiarieddhi pe nui leccesi nce statu nu matrimonio, insomma s’hannu maritate. E allora spezzettu le rape e le mmiscu cu li maritati, e nu sai ce te mangi, suntu speciali.

 

Traduzione: Le rape affogate:

Lavo per bene le rape, una a una, foglia a foglia, poi taglio una cipolla, uno spicchio di aglio, la aggiungo dentro ad un tegame un poco alto, con olio in abbondanza, mezzo peperoncino, l’alloro, e infine metto le rape e sale, senza altra acqua, copro con un coperchio con il fuoco un poco alto.

Ogni tanto le giro per evitare che si attacchino alla pentola.

Quando sono quasi cotte tolgo il coperchio e faccio consumare la eventuale acqua che ancora non è evaporata.

A questo punto sono pronte, buone per contorno, a me piacciono mangiate da sole, ma anche stese sopra a delle fette di pane di grano. Le uso sempre quando faccio le rape con i maritati. Come non sai cosa sono i maritati?

Per noi leccesi le orecchiette e i maccheroncini cucinati assieme si sposano, insomma si sono maritate. E allora spezzetto le rape e le mischio con i maritati, e non sai cosa ti mangi, sono speciali.  

 

 

 

 

 

 

 

 

Le Paparine

 

La nostra cara amica Maria Antonietta, che ha la fortuna di avere un marito come Ottavio, che le raccoglie quando è il tempo delle paparine, ci ha insegnato il suo modo di cucinare queste verdure.

“Dopo averle ben lavate, ancora gocciolanti le metto in una pentola assieme a un bicchiere di acqua, a fuoco basso. Intanto spargo in una padella dell’olio di oliva, uno spicchio di aglio intero, mezza cipolla, tagliandola finemente, una foglia di alloro, un peperoncino intero, olive nere, io le snocciolo, mezzo bicchiere di vino rosso, salo, e faccio cucinare per cinque minuti, lo stesso tempo che ho dato alle paparine che prelevo, le scolo, e le metto in padella mescolando con il soffritto.

La morale di questo fattariello: L’età è solo un conteggio anagrafico, quando si rimane giovani con la testa, come Maria Antonietta e Ottavio, non si invecchia mai, soprattutto se ti drogano con le paparine.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lu addhuzzu allu ragù (Galletto al ragù)

 

Si avvicinava la festa di santo Oronzo e con Franca andammo a trovare l’Assuntina, il mio sito antico di ricerca su cunti, fatti, ditteri, ricette salentine, immagazzinati in oltre novanta anni di vita terrena, e le ho chiesto: – Ssuntina, de Santu Ronzu li polli a ce età se ccedianu, mesi, anni?

E Lei: – Ianu bbessere de primu cantu, de picca misi, cussì comu fice Santu Ronzu quandu ni torse la capu a nu gallu de primu cantu e lu mise pe devozione e ringraziamentu alli piedi se Santu Pietru ca lu sta nominaa vescovu de Lecce. E st’usanza l’imu fatta nascere nui contadini pe protesta contro li padruni ca ne ulianu proibbire a ccidere l’addhuzzi allu 26 de agosto pe onorare Santu Ronzu nesciu.

 

Traduzione: Assuntina, di Santo Oronzo i polli a che età si uccide vano?

E lei: Dovevano essere di primo canto, di pochi mesi, così come fece Santo Oronzo quando gli torse la testa a un gallo di primo canto e lo mise per devozione e ringraziamento ai piedi di San Pietro che lo stava nominando vescovo di Lecce. E questa usanza l’abbiamo fatta nascere noi contadini per protesta contro i padroni che ci volevano proibire a uccidere i galletti al 26 di agosto per onorare Santo Oronzo nostro.

 

E, ovviamente, le ho chiesto la sua ricetta de “Lu addhuzzu allu ragù”

Il galletto viene rosolato in olio extravergine d'oliva, in una casseruola assieme ad uno spicchio di aglio, fino a quando non è dorato su tutti i lati.

Si aggiunge passata di pomodoro, si porta a ebollizione, poi si copre e si lascia sobbollire a fuoco bassissimo per circa tre ore e, a fine cottura, un mazzetto di prezzemolo nel sugo.

Viene servito come secondo piatto, accompagnato da patate fritte tagliate a spicchi e insaporite con il sugo stesso.

Il sugo del pollo può essere utilizzato anche per condire la pasta, molto usata la maritata, orecchiette e minchiarieddhi, che può essere servita come primo piatto.

 

 

 

 

 

Le Fae cu lu Cappottu

 

Con Franca, nella solita passeggiata mattutina, ci siamo imbattuti in un venditore di frutta e verdura che con la sua Moto Ape Piaggio colma di tanta bella verdura in mostra girava per il paese.

E vedemmo che fra le varie specie c’erano anche le cicorie selvatiche. Quando ci imbattiamo in questa verdura il nostro pensiero va subito alle fave, e cioè al tipico piatto salentino de le cecore reste cu le fae.

E Franca: – Però non abbiamo le fave.

E il venditore: – Ce le ho io, speciali, suntu quiddhe cu lu cappottu.

Ed io: – Cu lu cappottu?

E Lui: – Suntu quiddhe secche cu la buccia, nui a Lizzanello le chiamamu cu lu cappottu.

E io: – Na parola, per pulirle…

E Lui: – Stasira le minti intru (le metti dentro) all’acqua cu lu sale e domani matina le trovi già aperte, pronte cu le sbucci. Magari troverai qualche verme, ma significa ca suntu fatte senza elenu (veleno). Prova e poi me dici.

A sera Franca ha messo le fave nell’acqua col sale, e la mattina dopo le sbucciammo facilmente, poi a bollire e, per evitare che non si attacchino sul fondo, usa un pentolino con acqua bollente da aggiungere. Saranno pronte quando diventeranno una purea e solo verso la fine andranno salate. Intanto a parte avrete cotto le cicorie, lavandole attentamente per eliminare la terra attaccata alle foglie. A tavola ognuno si servirà delle cicorie e purea, non mescolando i due elementi, ma ponendoli uno accanto all’altro, innaffiando con tanto olio extra vergine d’olivo. “La massara Assuntina diceva sempre: Le fae suntu speciali perché te fannu subitu capire se l’egghiu (olio) ete buenu, se ete fiaccu te franchi cu te le mangi”.

Mi piacciono con il pane fritto, tanto peperoncino, lu diauilicchiu comu lu chiamamu nui. A questo punto con la forchetta prendete le cicorie e immergetele nella purea e poi mangiate, proverete anche voi lo stesso piacere che capitò agli Dei che, come dice la leggenda, ghiotti di questa pietanza, spesso scendevano dall’alto dell’Olimpo fra i mortali del Salento per sedersi al loro desco, non prima d’aver promesso benefici, in cambio di un piatto ricolmo di quella leccornia. E come gli Dei anche noi due rimanemmo ben sazi, tanto che siamo passati direttamente alla frutta.

 

 

La Freseddha

 

Panino rotondo biscottato e diviso in due parti orizzontalmente.

Si usa bagnata appena e condita con pomodori, olio, sale e origano e… Cu lu diaulicchiu (peperoncino).

Perché ho messo la freseddha con la rucula? Perché un salentino quando sente rucola o freseddha automaticamente le abbina nei suoi pensieri. E, siccome non potevo lasciare appassire la rucola, ho deciso di cenare con una frisa e pomodori.

Come procedo?

Bagno la frisa immergendola in una coppa con dell’acqua, tirandola subito fuori perchè non la amo molliccia. Sarà poi l’olio ad ammorbidirla. Taglio i pomodori a metà e li striscio letteralmente sulla frisa che dovrà diventare quasi rosa. E poi la rucola, olio salentino, sale, origano, e e e gli immancabili peperoncini. I peperoncini nel Salento vengono chiamati diaulicchi perché la leggenda dice che fu il diavolo a sostituire, per divertirsi, per fare un torto ai frati del convento, i peperoni dolci, verdi e rossi, quelli che si fanno fritti, con altri di uguale forma ma piccolissimi. Al tempo del raccolto, i frati rimasero sbalorditi dal loro piccolo aspetto. Pensarono a una maledizione divina e volevano spiantarli e bruciarli, ma furono fermati dal loro priore che, avendoli assaggiati, si accorse della loro amarezza. E disse: fermi tutti, ssaggiateli, parenu l’infernu, comu se su stati fatti da lu diaulu. E da allora li pipi russi si chiamano diaulicchi.

Dopo questa divagazione, prendete quindi la frisa con le due mani, odorare prima di mordere, e poi addentate rimanendo per qualche istante quasi col naso poggiato sul tozzo di pane. Appena la frisa sarà scomparsa, subito, prima di condirne un’altra, per me due sono la giusta misura, sciacquarsi la bocca con un bicchiere di vino rosso, Negramaro o Primitivo.

 

 

 

 

 

 

La Matriata

 

Personaggi: Macellaio, signora Tetta, donna incinta, Donnedo.

 

Macellaio: Me raccumandu signora Tetta quandu faci la matriata stuta Canale Cinque casu mai te sbagli cu faci.

Nu te preoccupare, ieu sacciu (so) comu se face la matriata, tantu pe cominciare la llau (lavo) per bene, la spellu (spello), la legu cu lu filu de na parte e de l’autra, cussì nu se ndesse (se ne esce) lu chimu (il chimo è il prodotto semi digerito degli alimenti, nell'ultima fase della digestione gastrica e va lasciato per dare un gusto amarognolo e gustoso alla ricetta), e poi mintu intru (metto dentro) alla padella l’egghiu (olio), la cepuddha (cipolla) tagghiata fina fina, fazzu suffriggere pe quarche minutu, e poi ci mintu la matriata e giru sempre. Dopu nu picca (poco) sciungu lu mieru (aggiungo il vino) biancu, lu tiempu cu sfuma e salu tuttu, e alla fine ci mintu (metto) le fogghie (foglie) de l’alloro e lu pipe, e cu la fiamma curta curta la fazzu (faccio) cucinare pe circa due ore, e nu sai ce te mangi.

M’ha fattu enire la voglia… disse la donna incinta.

E la signora Tetta: Miminu, sciungi (aggiungi) n’autru mienzu chilo de matriata …

E lui: no, nde mintu nu chilu cussì la faci puru pe mie, anzi nu chilu e mienzu, puru pe Donnedo, tutto a gratis. Portala quai (qui) e poi ieu la spartu (divido).

Signora Tetta: Nu me dire ca tie e Donnedu stati in cinta… E sia, la fazzu cu piacere, pe quistu me chiamanu la Tetta ca tutti rispetta!

Non ho parole per dirvi quanto era buona, certi piatti per noi grandicelli sono curativi, ti fanno ricordare la bellezza della gente del popolo dell’Italia tutta.

 

 

 

 

 

 

 

Le petre de mare

 

 “Il lieve vento di tramontana portò un irresistibile odore di cucina marinara, proveniva dalla pentola ribollente attorno alla quale si dava da fare Maria, moglie di Giovanni Tre dita, il bombarolo ladro ora in carcere. La donna sollevava di volta in volta il coperchio, giusto per introdurre un mestolo, prelevando un poco di brodetto che riponeva in un piatto di terracotta, sul cui fondo c’era una fetta di pane unico raffermo. Fu la prima volta che prete e barone si trovarono d’accordo: quella pietanza era impareggiabile.

- Don Ronzino, che qualità di pesci ci ha messo dentro Maria? Ha un sapore speciale.

- Concordo pienamente con lei barone, anzi chiederò un bis e cercherò d’informarmi.

Gli scarfagnanesi presenti, sbalorditi, notarono che Maria, pur non essendo una santa, aveva realizzato un miracolo: il podestà non richiamò Don Ronzino per l’uso ingiustificato del lei.

- Maria, te lo giuro, mai ho gustato una pietanza più buona e delicata, così piena di sapore marinaro, ma cosa ci metti, come si chiama?

- Don Ronzino, se chiama zzuppa a l’odore de lu mare, è un mio segreto, poi do la ricetta alla cummare Ssuntina.

La stessa sera, dopo un bagno ristoratore, Don Ronzino assaggiò di nuovo “la zzuppa cu l’andore de lu mare” di Maria.

- La Maria è stata gentile, è na buona figghia, puru se tene lu maritu dilinquente. Ha dittu: portanela allu prete e digli comu se cucina.

- Allora, che tipi di pesce si mettono?

- Ma quale pesce e pesce, lu pisce se nda fusciutu. Petre mette, pietre de mare e alghe. La povera crista, quandu nun sape ce n’ha dare da mangiare alli figghi, li manda a raccogliere petre de mare e alghe. Poi, con nu picca d’oliu, quando c’è, na foglia d’alloru, un poco di origano, aggiusta il pane tosto e li fa mangiare.

- Unire pietre con alghe di mare, è incredibile! Che cosa sa tirar fuori lo spirito di sopravvivenza!

 

 

Questa ricetta viene dal mio primo libro edito “L’Isola sulla Terra”

 

 

LU CAFE’

 

Ogni mattina, religiosamente, me preparu nu bellu cafè.

E vi dico del caffè, ca pe nui leccesi ete lu cafè.

E come si deve prendere il caffè?

 

Lu cafè s’ha pigghiare:

Cu tre C:

Cuettu = Cotto,

Carecu = Forte  

Cautu = Caldo

 

E s’ha pigghiare cu tre S:

Ssettatu = Seduto

Serratu = Chiuso,

Sulu = Solo.

 

Lu Cafè in ghiaccio alla leccese maniera

Tantissimi anni fa, quando si cercava un caffè in ghiaccio il banconista chiedeva: “cu lu zzuccaru o senza lu zzuccaru”, con o senza zucchero, mai con o senza latte, e soltanto in pochi lo volevano con l’orzata, speciale quella di De Bonis, con l’aggiunta del ghiaccio picconato al momento, quello della fabbrica di Marsiliano.

Ora lo chiedono con il latte di mandorla che è più zuccherato.

Io che amo il caffè amaro, solo così si gusta la sua vera essenza, mai l’ho assaggiato con l’orzata, figuriamo col latte di mandorla.

Però ribadisco che per me, per i miei amici della mia età, il caffè in ghiaccio che ordinavamo al Gran Caffè Buda, al Caffè Alvino, La Torinese, Sebastiano Bar, Cin Cin Bar, e altri, raramente lo chiedevamo con l’aggiunta dell’orzata. La regola dice che un buon caffè in ghiaccio alla leccese va bevuto subito, appena il connubio fra il ghiaccio e il caffè è appena iniziato, se si dovesse sciogliere troppo sarebbe come un amore annacquato o allattato con l’aggiunta di latte di mandorla. E mi viene spontaneo ricordare il mio carissimo amico Gisi che faceva diventare freddo il caffè caldo e tiepido quello in ghiaccio. 

E alla fine non posso non citare George Clooney che è nuovamente protagonista di una campagna di una nota marca di caffè, che lo offre dicendo “leccese a ghiaccio”. Poveru Cafè.

VI propongo un piatto leggero, serale, magari al posto della pizza:

 

“LU PISCE CA SE NDA FUSCIUTU”

 

Voglio darvi questa ricetta, mi è stata dettata da un vecchio pescatore, cliente di quando avevamo il negozio di abbigliamento in Viale Lo Re a Lecce, era gallipolino e si chiamava Carmelucciu, quiddha de “Lu pisce ca se nda fusciutu” cioè che se ne era scappato… ma che non esisteva.

 

Ingredienti (per 4 persone):

4 uova intere,

Pomodori in abbondanza,

Prezzemolo,

Una cipolla,

Olio di oliva,

Sale,

Peperoncino

Pane secco.

 

Preparazione:

In una pentola unire l’olio, la polpa dei pomodori freschi, il trito di prezzemolo e la cipolla, e volendo del sedano. Mettere sul fuoco e fate bollire per una decina di minuti. Aggiungete un mestolo d’acqua per ogni commensale, e fate bollire altri 5 o 10 minuti. Rompete a una ad una le quattro uova come quando le fate in camicia, facendo attenzione a che non si attacchino sul fondo. Tagliare quattro fette di pane secco, sarebbero “li pisci ca se ndannu fusciuti” che vanno disposte direttamente in ciascun piatto. Cospargete ancora con dell’olio, e sopra il pane versate la zuppa con un uovo per piatto, senza romperlo. Ah, non dimenticate il peperoncino. Io ci metto anche l’origano, lo uso dappertutto facendo arrabbiare Franca.

BUON APPETITO “cu lu pisce ca se nda fusciutu.”

 

 

 

 

 

Certo non potevano mancare le Pittule

E ogni volta che affrontiamo l’argomento “Pittule” mi appare il mio carissimo compianto amico Don Franco Lupo e la sua bella poesia.

 

Le Pittule.

Le pittule, ce suntu me sai dire?

Nu picca te farina a mienzu l’uegghiu,

ma lu Natale nu se po sentire se mancanu le pittule: lu megghiu!

Le pittule la sira te Natale le frisce mama,

ieu me le regettu su belle caute e nu me fannu male,

puru se quarchetuna brucia mpiettu.

Le pittule a Natale su de casa pe li signuri e pe li pezzentusi,

le idi tutte ntaula intra la spasa le mangianu li ecchi e li carusi.

La uei na pittulicchia Mamminieddrhu?

Autru nu tegnu Suntu Frusculieddhu.

 

Traduzione: Le pittole Le pittole che sono, mi sai dire? Un poco di farina in mezzo all’olio, ma il Natale non si può sentire se mancano le pittole: il meglio! Le pittole la sera di Natale le frigge la mamma, e io me le ingoio. Sono belle calde e non mi fanno male, pure se qualcuna ti brucia in petto. Le Pittole a Natale sono di casa, per i ricchi e per i poverelli. Le vedi in tavola dentro al vassoio e le mangiano i vecchi e i giovani. La vuoi una pittolicchia Bambinello? Altro non tengo sono un frugoletto.

 

Ingredienti

Farina, 500 g;

Acqua, 500 ml;

Olio di oliva, un cucchiaio;

½ lievito di birra;

Un pizzico di sale;

Olio di semi di girasole per friggere la pastella.

 

Le pittole possono essere farcite in vari modi (con i pomodorini, con olive e capperi, con le cime di rapa ecc).

 

 

 

 

Il procedimento

Sciogliere il lievito di birra nell’acqua a temperatura ambiente: alla fine, è essenziale che non rimanga alcun residuo. Il composto va versato a filo, lentamente, nella farina già setacciata per evitare grumi

Mescolate per almeno 10 minuti; nel frattempo integrate con il sale e l’olio di oliva. La pastella deve risultare densa e cremosa, omogenea e morbida.

È fondamentale la giusta lievitazione. A tale scopo, lasciate il tutto in una ciotola di plastica per circa 3 ore. Coprite il recipiente con un panno pulito da cucina, oppure con un foglio di pellicola trasparente.

Trascorse le 3 ore, l’impasto avrà praticamente raddoppiato le proprie dimensioni. Riempite una padella ampia con l’olio di semi di girasole, e fatelo riscaldare fino a quando non diventa bollente.

Prendete quindi un po’ di pastella con un mestolo, e lasciatela cadere nell’olio con attenzione. Fatelo a distanza ravvicinata, per scongiurare schizzi.

Bisogna aspettare due o tre minuti prima di girare la pittola per farla dorare su entrambi i lati. Ripetete per tutte le altre, e servitele calde, assaggiandole per regolarvi se dovere cospargere dell’altro sale.

Le nonne leccesi non usavano il mestolo per versare l’impasto nella padella, bensì le mani. Con questo stratagemma è più probabile che le pittule restino perfettamente tonde. Create delle piccole palline con i palmi delle mani, bagnandole spesso con acqua tiepida, e il gioco è fatto!

Na bona pittulata a tutti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Gli Odori

 

Prezzemolo, lu petrusinu, deve essere freschissimo perché Franca non utilizzava soltanto le foglie ma anche i gambi finemente tagliati.

Ma a Lecce lu petrusinu veniva anche utilizzato per schernire certe persone che si trovano sempre in mezzo ad ogni discorso: “Ete comu lu petrusinu ogne menescia (minestra).

 

Origano, lu rienu la mia fissazione lo metterei dappertutto e spesso mia figlia Caterina, così come faceva Franca, recrimina il mio utilizzo ossessionante. Una volta per Lecce giravano i venditori di verdure gridando: “De Ernule simu, cecore ccugghimu, Sant’Anna cacciamu, ci ole rienu, ci ole rienu”

 

Peperoncino, lu diaulicchiu per noi salentini, va usato ma non in maniera abbondante, il suo piccante deve amalgamarsi nelle pietanze con gli altri odori non superarli, e in una delle mie ricette, La Freseddha, troverete de lu diaulicchiu e de li monaci..

 

Cipolla, cepuddha è una delle principesse della cucina, infatti da noi si dice: “Cepuddha, cepuddha, senza de mie nu faci nuddha”: e da non dimenticarsi quella della Candelora con la testa piccola e lo stelo lungo.

 

Erba Cipollina, pianta molto aromatica che odora di cipolla e si usa quasi esclusivamente fresca poiché ha un aroma lieve che si perde facilmente.

 

Rosmarino, il suo nome deriva dal latino Ros e Maris, letteralmente rugiada di mare, e anche nel Salento si trova in abbondanza nelle terre quasi a ridosso del mare. Mi sono informato e secondo il mito la sua nascita è dovuta alla storia di amore fra il dio Apollo e la principessa di Babilonia Leucatoe, ma pure che i fiori del rosmarino prima erano bianchi e divennero azzurri solo quando la Madonna, durante la fuga in Egitto, lasciò cadere il suo mantello su una pianta di rosmarino.

Ha tanti principi curativi, e sa rendere saporitissime tutte le pietanze alle quali viene abbinato  

 

Salvia, è un'erba aromatica molto versatile in cucina, utilizzata per insaporire sia piatti di carne che di pesce, primi, contorni e ripieni. Le sue foglie, fresche o essiccate, possono essere aggiunte a soffritti, salse, zuppe e, in generale, a qualsiasi preparazione che necessiti di un tocco sapore particolare.

 

Basilico. Mio figlio Michele, valente cuoco, sempre mi dice: il Basilico lo devi usare sempre crudo, mai cuocerlo, è come se non ci fosse, ma in questo modo lo puoi abbinare ovunque.

Basilicum è il termine latino da cui deriva "basilico", che significa "pianta regale”, a Lecce basilicòu.

 

Menta piperita è un'erba aromatica molto utilizzata in cucina per insaporire sia piatti di carne che di pesce, primi, contorni e ripieni. Le sue foglie, fresche o essiccate, possono essere aggiunte a soffritti, salse, zuppe e in qualsiasi preparazione che necessiti di un tocco aromatico, nelle bevande e dolci. E a proposito della menta c’è un proverbio salentino che dice: “Menta, menta, ci te ama de core nu te llenta mai”.

 

I Capperi

Con i capperi ho perso una delle mie battaglie di vita, non sono mai riuscito a fare sbocciare una pianta ed ogni volta che ne vedevo una spuntare da un marciapiede, fra gli interstizi dei muri di pietra leccese, non vi dico poi la rabbia, e mi capita ancor oggi, quando passo davanti al Castello di Carlo Quinto a Lecce nel vedere quei grossi cespugli che si adagiano sulle mura. E sempre mi metto a parlare con loro chiedendo: ma perché non avete voluto stare con me? Ed ogni volta mi rispondono: perché ci avresti spennati tutti, perché ci mangi con tanto gusto.

Sì, con tanto gusto, con lo stesso amore che mi dà l’origano, e spesso li faccio incontrare per poi adagiarli sulle pietanze.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lu Mieru

 

Il vino nel vernacolo leccese, derivazione dal latino merum.

A dire il vero di novello se ne beve poco, si assaggia per santificare, ma è il Primitivo rosso di Manduria, il Negramaro che la fanno da padroni.

E ci sono i resoconti dei postumi alle grandi bevute, e si racconta per esempio: Lu Nzinu era mbriacu fracedu, lu Giovanni mbriacu a stozze.

Lu Ginu era mbriacu veru, ddirittuta subbra lu citu s’ha bbeutu lu mieru. (Nzino era ubriaco fracido, Giovanni ubriaco, ridotto a pezzi. Gino era ubriaco vero, addirittura si è bevuto l’aceto col vino)

E poi si giudicano i vari vini: mieru pastusu se è pesante; mieru ca dae de la utte, secco; ca dae de umedu, fiorito.

Davanti a una latteria di Lecce, oggi non più in attività, nel presentare le varie qualità di latte, c’era scritto: Abbiamo latte pastorizzato, particolare per gli anziani. Qualcuno aveva cancellato il particolare per gli anziani sostituendolo con Lu latte de li ecchi ete lu mieru. (Il latte dei vecchi è il vino)

E non mancava il riferimento alla religione: Del sacrestano che fu scoperto dal prete mentre si beveva il vino dell’altare che rispose: Don Ronzinu, nu sta fazzu peccatu percè me lu sta biu, lu mieru ete lu sangu de Cristu, percè te l’ha biere sulu ssignuria?

Alcuni ricordano il brindisi al matrimonio per Francesco e per Rosa: Bii, Chiccu e bii Rosa, ca lu mieru ete santa cosa. Doppiu bicchieri allu Chiccu percè se sape ca lu mieru scinde sutta e poi te lu face salire subbra. Ovvio il riferimento all’organo maschile.

E chiudo con il ricordo del mio caro amico Mesciu Alfredo Selleri al quale se gli chiedevi: Cumandi nu bicchiere de acqua?

– Acqua, sia mai, l’acqua face nascere le ranoccule (ranocchie) intru (dentro) alla panza, mieru ci ole, vinu russu, mai rosato o bianco ca suntu bueni sulu pe le fimmene.

 

 

 

 

 

 

 

Sta cangianu le usanze salentine

Facciamo un esempio, diciamo de “Lu Cafè in ghiaccio alla leccese maniera” che ora servono quasi esclusivamente col latte di mandorla, mentre ai tempi miei quando lo richiedevi il barista ti rispondeva: “cu lu zzuccaru o senza zzuccaru” e mai mmiscatu cu lu latte, sulu quarchedunu cu l’orzata, sempre quiddha de lu De Bonis, ca moi è diventata “lu latte de mandorla, e addirittura ncete lu George Clooney ca alla pubblicità della TV dice “voglio caffè a ghiaccio”.

Però oggi voglio denunciare un altro affronto alla leccesità, “LA PUCCIA CU LE ULIE”. Mi è capitato di rimanere stupito, sicuro di comprare la solita puccia, quando il panettiere mi ha chiesto: la cumandi cu li nuzzuli o senza? Cioè la vuole denocciolata?

Suntu sicuru ca Santu Ronzu nesciu se sta gira e rigira intru alla tomba venendo a sapere di queste atrocità alimentari.

La puccia cu le ulie senza lu nuzzulu significa la morte della puccia tradizionale.

E poi hanno tolto la bellezza de la bestemmia quandu scrafazzai lu nuzzulu, sine n’imu capiti, scrafazzare significa schiacciare, ma soprattutto cu te la spurpi fra li denti e la lingua. E lu piacere de la sputata? E sì, quandu eravamu vagnuni (ragazzi) se facianu li campionati de la sputata chiù luntana de li nozzuli.

E sai ce m’ha dittu lu panettiere quando ho precisato “Cu le ulie e nuzzulu”?

Ssignuria sinti unu de quiddhi bueni, moi è tutta colpa de li telefonini, te mangi la puccia e nu perdi tiempu cu li nuzzuli. Insomma, o tieni a manu lu cellulare o li nuzzuli, cose de l’autru mundu!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

El Bacalao con papas (ricetta cubana di Julio Iglesias)

 

Mira como me gusta
Como me gusta el bacalao mira
El bacalao con papas
Pero mira como me gusta
Como me gusta el bacalao mira
El bacalao con papas

El bacalao es un pes

Vive en agua profunda

Guarda come mi piace

come mi piace il baccalà, guarda.

Il baccalà con patate

Come mi piace …

 

Andate su YouTube e cercate il brano “El Bacalau con papas” di Julio Iglesias, vi aiuterà a preparare la sua ricetta,

 

Ingredienti

600 gr. Di baccalà ammollato

400 gr. patate

½ cipolla grattugiata

3 cucchiai di olio oliva 

Sale a gusto

2 cucchiai di prezzemolo tritato

1 spicchio di aglio –

 

Preparazione

Sistemate il baccalà in una casseruola facendolo bollire finché sarà ben cotto.

Eliminare le spine e la pelle.

A parte, fate bollire le patate, lasciatele raffreddare e sbucciatele.

Preparate ora un soffritto con la cipolla, unire le patate schiacciate e il baccalà sfilettato.

Insaporite con una salsa preparata miscelando il prezzemolo con l’aglio, l’olio e il pepe, se lo gradite. Scolate bene e fate delle crocchette, facendole friggere o gratinandole. 

 

L’abbiamo chiamata “La Triplice Alleanza “ 

 

Ingredienti

Pane grattugiato

Olio di oliva

Parmigiano o pecorino grattugiato

Rosmarino,

Erba cipollina

Origano

Basilico

Patate

Sale

Prosciutto crudo o speck

2 - 3 mele

4 - 5 carciofi

 

Preparazione

E’ un nome altisonante, ma capirete il perché.

Innanzitutto vi serve una teglia di circa 24 cm, e della carta da forno.

Bagnate la carta da forno, accartocciatela e poi stendetela sulla teglia.

Versate, a coprire, del pane grattugiato, (noi mettiamo nel tritatutto delle frise di grano per avere un tritato grossolano che insaporisce ancora di più), innaffiando con olio extravergine di oliva, quello pugliese è particolare, profumato e gustoso.

Salate e spargete uno sminuzzato di rosmarino e erba cipollina, con l’aggiunta d’origano, basilico, e il Parmigiano. 

Intanto tagliate a fette tonde sottilissime delle patate che disporrete a coprire la rotondità della teglia e i bordi.

Di nuovo il grattugiato, l’olio di oliva, il sale, e i vari odori e parmigiano grattugiato.

Pulite ora 4 o 5 carciofi, dipende dalla grandezza, tagliandoli affusolati che distribuirete sopra le patate.

Nuovamente il grattugiato con gli odori, olio e sale.

A questo punto stendete dello speck o prosciutto crudo, tagliato sottile.

(Ma si può fare anche senza, così come per l’eventuale formaggio grattugiato, se si vuole una pietanza vegana)

E’ la volta di due mele private del torsolo e della buccia, tagliate a rondelle che collocherete sopra i carciofi.

Ancora con il grattugiato, l’olio di oliva, il sale e rosmarino e origano. 

In forno a 200 gr. per circa 30 min.

“La Triplice Alleanza “sarà pronta quando le patate diventeranno color bronzo, insomma belle croccanti.

Buon appetito e brindate alla nostra salute con del vino rosso, consigliati il Negramaro e il Primitivo salentini.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La Nostra Pizza di Scarola alla salentina maniera

 

Ingredienti:

1 cucchiaio di capperi

2 cucchiai di uvetta

1 cucchiaio di pinoli

2 cucchiai di olive nere

4-5 filetti di acciughe

2 rotoli di pasta pizza

1 aglio, olio EVO

1 noce di strutto, in alternativa, olio EVO

 

Preparazione:

Munitevi di una teglia rettangolare più o meno di 24×30 centimetri.

Tagliare le scarole e lavarle per bene poi fatele bollire 15 minuti in una pentola con poca acqua. Scolare bene

In una larga padella fare rosolare l’aglio con i filetti di acciughe poi aggiungere la scarola lessata, le olive snocciolate, i capperi, l’uvetta, i pinoli, salare con moderazione e fare cuocere a fiamma vivace fino a rosolare le verdure ottenendo un bel colorito.

Srotolate la prima sfoglia di pasta pizza, spianatela ancora un po’ col matterello e, con tutta la carta forno che l’avvolgeva, stendetela nella teglia riempite con le scarole e, con l’altra sfoglia di pasta pizza, appiattita anch’essa col matterello, ricoprite il tutto.

Tagliate la pasta in eccesso sui bordi con una rotellina, punzecchiate con una forchetta la superficie e con un pennello distribuite lo strutto e poi in forno a 180° ventilato per 30-35 minuti e questo è il risultato

E’ buonissima, non potete perdervela.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pizza con salsiccia e cime di rapa

 

Ingredienti

Per una teglia di cm. 30x25

2 rotoli di pasta pizza

600 g di cime di rapa

350 g di salsiccia fresca 

1 spicchio d'aglio 

Olio evo, sale e peperoncino q.b. 

 

Procedimento

In una larga padella soffriggere olio, aglio e peperoncino e versate le cime lavate accuratamente, coprire fino a quando iniziano ad appassire, scoprire e farle friggere per bene. A parte friggete la salsiccia e tagliatela quando sarà cotta a pezzetti.

Stendere il primo rotolo con il matterello e rivestite il fondo della teglia e mettere in successione la verdura, la salsiccia e fettine di provola, coprire con l'altra metà di impasto. Lucidate la superficie con olio e una spolverata di pepe quindi in forno caldo a 180° fino a doratura.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le olive alla messinese maniera

 

Preparativi iniziali per conservare le olive colte fresche: vanno lavate in acqua fredda e riposte in un capiente recipiente, meglio se non di plastica, per una settimana cambiando l'acqua due volte al giorno (mattina e sera).

Olive nere

2 kg di olive nere in un vaso a chiusura ermetica con sale (100-200 g. a seconda dei gusti), 2 limoni a fette, due spicchi d’aglio interi, foglia di alloro e semi di finocchio e si tengono per almeno un mese mescolando ogni giorno. Quando sono pronte, scartare gli aromi, asciugare le olive, ungerle con olio d'oliva e metterle nei vasetti precedentemente sterilizzati.

 

Olive verdi

Stesso procedimento iniziale con circa 2 kg. Sempre in un vaso a chiusura ermetica, colmo di acqua, inserire le olive con circa 200gr. di sale, 2 3 limoni tagliati a fette, 4 spicchi di aglio interi, semi di finocchio, e conservarle tenendole sotto l’acqua con una corona di foglie di alloro. Dopo circa due mesi sono pronte.

 

 

Olive verdi schiacciate

Prendete olive verdi e dure, schiacciatele col batticarne per togliere i noccioli, togliendo con molta cura tutti i frammenti. Tenete la polpa delle olive in salamoia per alcuni giorni, ricoperte con un piatto capovolto e pressate con un peso. Quando secondo voi avranno perso molto liquido lessatele leggermente, e una volta raffreddate conditele con l'aglio e il peperoncino rosso a pezzetti, origano, e conservatele in barattoli già sterilizzati ricoperte d'olio. Dopo circa un mese sono da mangiare.

 

 

 

 

 

 

 

 

Torta Salata di Riso

 

Ingredienti per 4 persone 300 gr. di riso,

100 gr. di prosciutto cotto,

150 gr. di pisellini freschi o congelati,

2 cucchiai colmi di parmigiano grattugiato,

150 gr. di mozzarella o formaggio a pasta.

50 mg di latte

1 uovo

Sale, pepe

Pangrattato

Olio di oliva quanto basta

 

Preparazione

Lessate il riso al dente in acqua bollente salata per circa 10 minuti, scolatelo, trasferite in una insalatiera e condite con 2 cucchiai di olio mescolando con una forchetta.

Scolate i pisellini se hanno fatto del liquido, tritate il prosciutto e tagliate la mozzarella a fettine.

In una ciotola sbattete leggermente l’uovo con il latte, un pizzico di sale, il pepe e incorporatelo nel riso, aggiungete i pisellini, il prosciutto e mescolate.

Ungete una pirofila rotonda o rettangolare con un cucchiaio di olio, cospargete il fondo e le pareti con il pan grattato, versate metà composto di riso nella pirofila, livellate bene la superficie e fate uno strato di fettine di mozzarella.

Ricoprite con il riso rimasto e cospargete con il parmigiano grattugiato, livellate la superficie della torta con il dorso di un cucchiaio inumidito e cuocete in forno preriscaldato a 180°-200° per circa 20 minuti.

Accendete il grill e fate gratinare per 2 minuti circa, servite la torta calda.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tortino alla boscaiola

 

Ingredienti

250 gr funghi porcini

100 gr prosciutto cotto a cubetti

2 uova

150 gr noci sgusciate

50 gr parmigiano reggiano

100 mg di latte

Prezzemolo

Sale, olio, cipolla

Pasta brisè

 

Preparazione

Rosolate i funghi con olio, sale e cipolla e prezzemolo.

Ultimata la cottura, aggiungete il prosciutto cotto a cubetti e le noci precedentemente tritate. Stendete la pasta brisee e ricavate dei dischi del diametro leggermente superiore a quello degli stampini che decidete di utilizzare. Imburrate gli stampini ricoperti di carta da forno, disponete i dischi di pasta brisè e versate il ripieno di funghi e prosciutto fino a riempire metà stampino.

Sbattete le uova con il parmigiano e aggiungete il latte; versate il composto negli stampini fino a riempirli completamente.

Cuocete in forno a 180° per 20 minuti. Servite i tortini tiepidi su piatto da portata accompagnati da noci intere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I Dolci

 

 

 

Era Pasqua del 2002, molto anticipata, di 31 marzo, e con Franca eravamo a festeggiarla a Messina, ospiti di suo fratello Nino, detto Ninuzzo.

Uscendo dalla Cattedrale, dove eravamo andati ad ascoltare la Santa Messa, sono entrato in un’edicola e assieme ad un quotidiano e un mensile ho acquistato un libricino, “I Dolci Siciliani di Maria Adele di Leo”, costo 1 Euro.

E da quel libricino, circa 57 pagine due ricette sono entrate nella nostra vita, “Il Riso Nero e La Luna di Maometto”.

La prima ricetta, il “Riso Nero” diventò un dolce preteso dai nostri amici più cari quando ci riunivamo di sabato sera per i soliti incontri, a dire il vero delle sfide settimanali di otto coppie per eterne partite di burraco, e guai se noi due non ci presentavamo con il solito prelibato “Riso Nero”.  

La seconda ricetta, “La Luna di Maometto”, fu in seguito il nome di un racconto inserito nel mio primo libro edito, “L’Isola sulla Terra”. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il Riso Nero

 

Ingredienti:

250 gr. di riso

2 litri di latte intero (ma nel caso dovessero esseri allergici al latte e                derivati va bene anche un buon latte di mandorle)

2 tazzine di caffè ristretto

150 gr. di cacao amaro

350 gr, di zucchero

Una bustina di vaniglia

50 gr. di nocciole tritate

 

Preparazione:

Lessate il riso nel latte a fiamma bassa, mescolando per non farlo attaccare.

Appena cotto unite il cacao, il caffè ristretto e lo zucchero e continuate la cottura per un paio di minuti.

Versate in una pirofila, spolverate di nocciole tritate e lasciate raffreddare.

Fatelo, è una vera delizia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La Luna di Maometto.

 

Ingredienti:

700 gr. di farina

300 gr. di burro

4 uova

200 gr. di miele

200 gr. di zucchero

Un limone

Un bicchiere di Marsala

400 grammi di ficgi secchi

100 gr. di gherigli di noci tritati

100 gr, di mandorle tritate

Sale.

Preparazione

Impastate la farina con i tuorli d’uovo e la buccia del limone grattugiata, un pizzico di sale e con il burro lavorato a crema. Lavorate l’impasto e lasciatelo a riposare per circa 2 ore.

A parte mescolate le mandorle tritate, i gherigli di noci tritati, i fichi secchi a pezzetti, lo zucchero, il miele ed il bicchiere di Marsala, amalgamate il tutto e mettete il ripieno al centro della sfoglia che avrete spianato.

Prendete il lembo della sfoglia, coprite, e con una rondella date la forma di una Mezza Luna.

Cuocete in forno a 180 gradi per circa mezz’ora.

                                                                                                                             

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le Cuddure pasquali messinesi

 

E quando stava per arrivare la Santa Pasqua nonna Rosa non ci faceva mancare le “Cuddure” un dolce tradizionale pasquale messinese.

Noi nipoti siamo cresciuti aspettando la Pasqua e questi dolci semplici che la nonna preparava quando faceva i “panini di cena” Il cui nome deriva dalla tradizione di consumarli durante il periodo pasquale, ricordando l'Ultima Cena di Gesù. 

Nonna Rosa le intrecciava come canestri, con le uova contenute in piccole tasche e cosparsi di semi di sesamo, chiodi di garofano e, come i panini di cena, questi dolci non sono troppo dolci. Quindi si possono usare per accompagnare salumi, formaggi, uova strapazzate, sia con confetture o creme di cioccolato.

 

Ingredienti:

800 gr. di pasta di pane

4 uova

400 gr. di zucchero

100 gr. di cioccolato fondente

Semi di sesamo e chiodi di garofano

 

Procedimento

Impastate la pasta di pane con lo zucchero e pezzetti di cioccolato fondente. Dividete l’impasto in quattro pezzi, e date la forma di una ciambella, mettete su ogni ciambella un uovo sodo intero, unite i semi di sesamo, e passate al forno per circa 30 minuti.

Per come fare l’impasto andate a pagina 63 utilizzando la ricetta per Impasto per torta lievitata (impasto N° 2) 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La torta al Caffè

 

Ingredienti

300 gr. di farina

100 di burro

Un bicchiere di latte

3 tazzine di caffè amaro

150 gr. di zucchero

2 uova

1 bustina di lievito per dolci.

 

Preparazione

Sbattete i tuorli con lo zucchero, aggiungete il burro sciolto e il caffè.

A parte montate a neve gli albumi, unite la farina, il latte e la bustina di lievito, amalgamate il tutto con i tuorli sbattuti, versate in una teglia provvista di carta forno e cuocete in forno per circa trenta minuti.

                                            

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Biancomangiare alle mandorle

 

Con Franca lo consideravamo un dolce freddo, ma non un gelato, gustoso in ogni ora del giorno, soprattutto per sminuire il caldo d’estate, semplice da fare.

 

Ingredienti

1 litro di latte di mandorle

200 gr. di amido per dolci

100 gr. di zucchero

30 gr. di pistacchi tritati

Cannella da spolverare.

 

Preparazione

Versate in un tegame il latte di mandorle, unite l’amido, lo zucchero ed un pizzico di cannella, e a fuoco basso, mescolando, lasciate addensare la crema.

Fate raffreddare, spolverate con i pistacchi tritati e mettete in frigorifero.

Buono per grandi e piccini, ma quando i nostri figli facevano capricci Franca li addolciva con il Biancomangiare alle mandorle.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                      La torta di mele super morbida

 

Ingredienti –

2 mele

3 uova

1 limone

130 gr di acqua

130 gr di olio ex vergine o di semi

250 farina 00

180 di zucchero

1 bustina di lievito per dolci

2 cucchiai di Marsala

8 noci da sbucciare

Una spolverata di cannella

 

Preparazione

Tagliare in una coppa le mele a fettine sottili e bagnare con un limone spremuto.

Intanto in una altra ciotola sbattere col frullatore le uova intere con lo zucchero. Appena il composto sarà spumoso aggiungete i 2 cucchiai di Marsala e mescolate. Setacciate sopra la farina con l’aggiunta della bustina di lievito e, sempre avvalendovi del frullatore, versate l'acqua e l'olio che avrete in precedenza mischiato e completate l'amalgama.

La tortiera, di almeno 24 cent., meglio se alta, va sistemata con la carta da forno, io la accartoccio e la bagno così aderisce meglio. 

Verso quindi metà composto e lo ricopro con una parte di mele e noci; poi aggiungo l’altra parte con il resto di mele e noci.
 In forno a 170 gr. per circa quaranta minuti.  

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Il Ciambellone

 

Ingredienti (stampo da ciambellone da 24 cm)

250 g di farina
230 g di zucchero
3 uova
130 ml di olio di semi
130 ml di acqua a temperatura ambiente
1 bustina di lievito per dolci
2 cucchiai di rum o amaretto
zucchero a velo per decorare

 

Preparazione

Con le fruste elettriche sbattete le uova intere con lo zucchero fino ad ottenere un composto gonfio e spumoso. Abbassate la velocità al minimo e aggiungete l’olio, l’acqua, il rum o amaretto, la farina setacciata con il lievito. Continuate ad amalgamare con le fruste, fino a quando il composto non sarà liscio e liquido.

Ricoprite lo stampo con della carta da forno, versate mezzo cucchiaio di olio e strofinate con un foglio di carta assorbente.

Versate il composto nello stampo e infornate a 170° per ca. 40-45 minuti. Fate la prova stecchino.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dolce fior d’arancio

 

Bollite per due ore 2 arance intere, assolutamente biologiche, poi frullarle fino a che diventino una crema.

Sbattere sei uova intere con 250 gr. di zucchero, quando sono ben gonfie aggiungete gr. 250 di farina di mandorle e mezza bustina di lievito.

Mescolare bene insieme alle arance frullate, assicurandosi che non ci siano grumi e semi, avendo prima sistemato in una teglia rettangolare, preferibilmente di ceramica, della carta da forno.

Quindi infornare in forno già caldo a 180 gradi. 

UNA DELIZIA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Budino di riso al cioccolato.

 

E sì, per certi versi sono stato un uomo fortunato, soprattutto perché ho avuto attorno delle donne speciali. La prima è stata mia madre Caterina, sua madre Nonna Rosa, Zia Ina, la mia amatissima moglie Franca, e mia suocera Maria, Maria mia suocera.

Infatti solo uno fortunato come me poteva avere Franca, bravissima cuoca.

Questo budino era opera sua.

 

Ingredienti

200 gr. di riso

800 gr. di latte intero, ma anche di latte di mandorla

200 gr. di zucchero

4 uova

200 gr. di cioccolato fondente

Cannella

50 gr. di pistacchi tritati

100 gr. di burro

 

Preparazione

Lessate il riso nel latte, aggiungete il cioccolato a pezzetti, i tuorli sbattuti con lo zucchero, gli albumi montati a neve, e il burro appena sciolto.

Amalgamate bene, aggiungete la cannella e i pistacchi tritati, versate il composto in uno stampo unto d’olio e cuocete a bagnomaria per circa mezzora.

Una volta raffreddato mettere in frigo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Torta al limone

 

Ingredienti (tortiera a cerniera da 24 cm)

300 g di farina
250 g di zucchero
4 uova medie
150 ml di olio di semi
100 ml di acqua a temperatura ambiente
50 ml di succo di limone
1 bustina di lievito per dolci
1 pizzico di sale
scorza di 1 limone non trattato
zucchero a velo per decorare

 

Preparazione:

Con le fruste elettriche sbattete le uova intere con lo zucchero fino ad ottenere un composto gonfio e spumoso. Abbassate la velocità al minimo e aggiungete la farina setacciata con il lievito, la scorza grattugiata del limone, il succo di limone, l’olio, l’acqua e 1 pizzico di sale. Continuate ad amalgamare con le fruste, fino a quando il composto non sarà liscio.

Rivestite la tortiera con un foglio di carta da forno leggermente bagnato e strizzato. Versate il composto nello stampo e infornate a 170° per ca. 50-55 minuti.

Fate la prova stecchino.

Una volta pronta, attendete si raffreddi e spolveratela con lo zucchero a velo.

PER UNA OTTIMA COLAZIONE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Prima di tutto voglio dirvi che quando c’era da impastare con Franca, e questo avveniva anche per la pizza o il pane, abbiamo sempre utilizzato le nostre mani, pur avendo la possibilità di usare delle impastatrici.

Perchè?

Per il semplice fatto che soltanto con l’uso delle mani noi riuscivamo a capire quando l’impasto aveva raggiunto la giusta amalgama e morbidezza, pronto per essere poi steso col mattarello e inserito nella teglia.

 

Impasto per crostata. (Impasto N° 1)

Ingredienti

300 gr. di farina

150 gr. di burro,

100 gr. di zucchero

2 tuorli

1 cucchiaio di marsala

mezzo limone grattugiato.

 

Procedimento

In una ciotola, noi usiamo una di acciaio inossidabile, tagliamo il burro a piccoli pezzetti, quindi la farina messa con il passino, lo zucchero, 2 tuorli, un cucchiaio di Marsala, e grattugiamo mezzo limone colto da poco e biologico.

Dopo aver tutto nella ciotola, per essere certi di non averne dimenticato qualche ingrediente li ricontiamo, devono essere sei.

Si va a impastare e quando avrà assunto la giusta morbidezza e amalgama stenderemo, spianando col mattarello, metà di pasta per ricoprire la teglia e l’altra per le strisce da mettere sopra. Noi utilizziamo una rondella sistemata per tagliare strisce di circa due centimetri.

Solitamente usiamo per le crostate la marmellata, speciali quelle che faceva Franca di mele, pere, arance, mandarini, la più richiesta era fatta di more, da noi raccolte fra le selvatiche da fine giugno a settembre, oppure con la frutta fresca, buonissima quella con i fichi.

La teglia deve essere di 24 centimetri ricoperta di carta da forno.

Quindi l’impasto per la copertura che per le crostate è fatto di strisce incrociate, cinque per parte di circa due centimetri.

Prima di infornarla la mettiamo per circa mezzora in frigorifero e poi dentro a 180 gradi per circa 30 minuti, magari qualcuno in più per farla imbiondire.

Non va messa in frigorifero.     

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Impasto per torta lievitata (impasto N° 2) 

 

300 g. farina

½ bustina di lievito vanigliato,

1 uovo intero, 1 tuorlo

100 g, di burro

100 g. di zucchero,

1 cucchiaio di Marsala

½ limone grattugiato.

 

Per questo tipo di impasto gli ingredienti da usare sono sette.

Il procedimento di mettere in teglia è uguale come per la crostata, però potranno capitarvi delle torte con le creme che magari volete ricoperte completamente.

Questo tipo di torta pretende, da cotta,  la conservazione in frigo quando il ripieno vien fatto con la ricotta oppure con creme.

 

A 180° per circa 35 minuti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Torta con la ricotta (impasto N° 2)

 

Ingredienti:

Per il ripieno:

500 gr. di ricotta di pecora o di mucca,

200 gr. di zucchero,

1 uovo intero, e 4 tuorli,

un pizzico di sale,

una bustina di vaniglina,

cannella quanto basta,

la buccia grattugiata di un’arancia, di cui mezza spremuta,

50 gr. di frutta candita.

Lavorate la ricotta col passino e amalgamate il tutto.

Ricoprite con strisce di pasta come per le crostate di marmellata, cuocere per 40 minuti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Crema al cioccolato

Mezzo litro di latte intero, (o di latte di mandorle)

2 tuorli,

100 g. di zucchero,

60 g. di farina,

75 g. di cioccolato amaro

1 cucchiaio di rum

 

Preparazione:

Mettete a bollire il latte.

Lavorate i due tuorli e lo zucchero con la frusta, o con un frullatore, in un recipiente alto sino a quando non si saranno ben amalgamati.

Unite quindi la farina non mancando d’aggiungere il cucchiaio di rum.

Non appena il latte sarà giunto a ebollizione versatelo nel composto.

E’ il momento di immettere il cioccolato amaro passandolo per evitare grumi attraverso un colino e continuando a frullare sino a quando l’amalgama sarà perfetta. Ponete il recipiente sul fuoco lento girando sempre nello stesso verso sino a quando la crema avrà assunto la giusta densità.

Se la crema vi servirà per essere inserita nella tortiera ricoperta dell’impasto N2 versatela e ricopritela con un unico telo e mettete a cuocere nel forno per circa 35, 40.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Crema Bianca  

 

Ingredienti:

Mezzo litro di latte intero (o di latte di mandorle)

2 tuorli,

100 gr. di zucchero,

70 gr. di farina

Un cucchiaio di Rum

Maraschino o altri succhi. 

 

Preparazione

Lavorate i due tuorli e lo zucchero con la frusta, o con un frullatore, in un recipiente alto sino a quando non si saranno ben amalgamati.

Unite quindi la farina non mancando d’aggiungere il cucchiaio di rum.

Non appena il latte sarà giunto a ebollizione versatelo nel composto.

Ponete il recipiente sul fuoco lento girando sempre nello stesso verso sino a quando la crema avrà assunto la giusta densità.

Se la crema vi servirà per essere inserita nella tortiera ricoperta dell’impasto N2 versatela e ricopritela con un unico telo e mettete a cuocere nel forno per circa 35, 40.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ripieno per la crostata di mele (impasto N° 1)

 

Ingredienti

4 mele

Noci sminuzzate

2 manate di pane grattugiato

3 cucchiai di zucchero

Cannella in polvere, mezzo cucchiaio

4 cucchiai di panna per dolci

Due cucchiai di Maraschino

Marmellata di prugne

 

Preparazione

Sull’impasto N° 1 della teglia stendete uno strato di marmellata.

Procuratevi una teglia capiente e riponete le mele tagliate a rondelle assieme al pane grattugiato, i tre cucchiai di zucchero, i 4 di panna, la cannella, il Maraschino, le noci sminuzzate. Amalgamate il tutto e versatelo nella teglia.

Ricoprite con un unico telo e infornate a 180 gradi per circa 40 minuti.

Dopo aver steso l’impastendere uno strato di marmellata.

Tagliare quattro

mele a spicchi e unirle a: noci sminuzzate, 2 manate di pane grattugiato, tre cucchiai di zucchero, cannella in polvere, mezzo cucchiaino, 4 cucchiai di panna per dolci, un cucchiaio di maraschino. Ricoprite con la sfoglia e praticate tre fori del diametro di tre centimetri. In forno per almeno 40 minuti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Brownies al cioccolato fondente

 

Ingredienti

300 g. di cioccolato fondente

100 g. di cioccolato bianco

100 g. di cacao in polvere amaro

180 g. di farina

4 uova intere

200 g. di zucchero

80 g. di burro

1 bottiglietta di birra da 33 cl.

1 manciata di gherigli di noci (opzionale)

 

Preparazione

1. Preriscaldate il forno a 180 gradi.

2. Sbattete le uova con lo zucchero fino ad ottenere un composto soffice e spumoso.

3. Fate fondere i due cioccolati e il burro sul fuoco dolcissimo e unite il tutto al composto uova e zucchero.

4. Mescolate la farina con il cacao ed unite il tutto al composto preparato in precedenza.

5. Terminate aggiungendo la birra in diverse volte, ed infine unite le noci tritate grossolanamente, se le usate.

6. Versate il composto in una teglia imburrata ed infarinata.

7. Infornate e cuocete per 20/25 minuti, alla fine la superficie dovrà essere cotta, infilando uno stecchino dovrà uscire pulito.

Lasciate raffreddare questo goloso dolce e gustate il giorno dopo tagliato a pezzetti quadrati.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Abbiamo finito, ma cosa ci vuole per brindare a tutte queste bontà?

LU FUECU DUCE, il mio liquore che dà il titolo al mio terzo libro, uscito nel mese di giugno del 2017, continuazione del primo edito “L’ISOLA SULLA TERRA”.

Addirittura assieme al libro si poteva acquistare una bottiglia di questo particolare liquore. E voglio darvi la ricetta ma potete averla soltanto leggendo l’ultimo capitolo del mio libro “IL FUOCO DOLCE”.

 

Era il 31 di dicembre, un altro anno era passato,

Otto e Frida, Ferdinando e Ornella, erano ospiti di Cosimino e Maria per festeggiare l’arrivo del nuovo anno.

- Che faticata, proprio nell’ultimo giorno dell’anno, ho portato su per le scale un misterioso borsone, affidatomi da Frida, senza sapere cosa c’è dentro.

- Otto, e se c’è na bomba? Disse Ferdinando?

- A dire il vero una cosa esplosiva c’è, infuocata direi – replicò Frida.

E Ornella: - ma potrebbe anche essere dolce. 

- Insomma, basta con questi segreti, apritelo, voglio vedere cosa c’è dentro.

- E sia Otto, ora lo apriamo. Guardate, ci sono tre bottiglie del famoso “ Fuecu duce fatto alla maniera dell’Assuntina “. E’ grazie a Maria, che aveva avuto da sua madre la ricetta originale, se ho realizzato queste tre bottiglie di liquore.  

Frida chiese un momento d’attenzione. - Con il permesso di Maria e Cosimino, consideratelo un loro regalo di fine anno, vi do la ricetta dell’Assuntina: In una pentola versate 1,800 grammi di acqua, assieme a 400 di alcol puro e 300 grammi di zucchero. Mescolate per fare sciogliere lo zucchero. Sbriciolate, grossolanamente, 15 grammi di stecche di cannella, aggiungendo un cucchiaino scarso di peperoncino tritato. Mettete sul fuoco, premurandovi di girare con un mestolo il preparato. Appena avrà raggiunto il bollore spegnete e lasciate riposare sino a quando diverrà freddo. A questo punto filtratelo versando il liquido in un recipiente sul quale avrete riposto della garza o magari un tovagliolo a trama larga. Fatto ciò imbottigliatelo, facendo attenzione d’eliminare eventuali depositi. Come potete vedere, su ogni bottiglia abbiamo applicato questa etichetta:

 

 

Lu Fuecu Duce

Dell’Isola sulla terra

Fatto alla maniera

Dell’Assuntina Calò,

Se bie friddu, te face digerire

e serve puru per risvegliare

l’animu e quarche autra cosa.  

 

Tutti applaudirono.

E Ruggero: - Se deve essere bevuto freddo, vado a metterlo in frigo.

E giunse la mezzanotte, e col Fuecu duce, ma ghiacciatissimo, tutti brindarono al 2013 più di una volta.

Otto era tutto un fuoco.

- Voglio fare un brindisi: Mai ci allontaneremo da Scarfagnano, dall’Isola sulla Terra, abbiamo trovato la nostra casa, qui con Frida resteremo fino alla fine dei nostri giorni.

Replicò Ferdinando: - Promesse de carabiniere, e se ti trasferiscono che fai? Proprio niente, non puoi, solo promesse de carabiniere.

- E invece posso, mi manca un anno alla pensione, quindi non più trasferibile, mi dovrai sopportare quasi ogni giorno. Non avendo niente a che fare starò sempre nel tuo salone.

- Ce bella prospettiva de futuro, ma sia, brindiamo di nuovo, fino a quando non ci scoliamo le tre bottiglie, tanto la Frida ce lo rifarà. Auguri, auguri!

Fu la volta di Cosimino Calò: - Questo liquore si chiama Lu fuecu duce, il fuoco dolce in italiano. Ebbene, non lo sapevate, ma in questi giorni ho terminato di scrivere un mio libro, un prosieguo del fortunato Isola sulla Terra di mio nonno Giovanni. Non ridete di me se vi dico che ho il manoscritto, ma senza un titolo. Però, questa sera, grazie a Frida che ha voluto regalarci questo nettare, a nonna Assuntina che lo ha inventato, ho trovato il nome giusto, si chiamerà: Il Fuoco Dolce. E allora brindiamo al suo successo e a coloro che, dopo averlo letto, faranno un brindisi con Lu Fuecu duce di nonna Assuntina. Cin cin, auguri a tutti voi!

 

 

 

 

 

 

 

Lu Fuecu duce

Ecco ora vi do la ricetta completa di Assuntina: “In un litro, 800 di acqua spezzettate 15 grammi di  stecche di cannella e un cucchiaino scarso di peperoncini tritati, ma si possono usare quelli freschi quando ci sono. Aggiungete 300 grammi di zucchero, 400 cl. di alcool.  Portate il liquido abollore, quindi filtratelo e versatelo nelle bottiglie ben lavate e asciutte. Assicurati che sia bello limpido, se no va filtrato di nuovo: Va bevuto friddu, tuttu l’annu, nu bicchierinu dopo li pasti. Te face digerire e serve puru pe risvegliare l’animu e quarche autra cosa. “

 

 

 

 

Lecce, 13 Agosto 2025

 

 

 

 

 

 

 

F

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Una ipotesi per la materia e l’energia oscura - A Hypothesis for Dark Matter and Dark Energy

Una ipotesi per la materia e l’energia oscura - A Hypothesis for Dark Matter and Dark Energy

Placido Munafò

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ABSTRACT

If, on the other hand, “dark matter” as it is commonly understood, invisible and intangible, is not present in the universe, but the effects that are observed and attributed to its presence, are instead allowed (triggered) by “information” contained in ordinary (visible) matter, or in space itself in some form (e.g. elementary particles, background radiation, etc.) that we are not yet able to read and understand and that, like that of a plant seed, allows work to develop, for example as the gravitational force might do (compatible also with the law of Relativity that considers the force of a plant to be a “force of gravity”). ) that we are not yet able to read and understand, and which, like that of a plant seed, allows work to be done, e.g. as gravitational force might do (also compatible with the law of Relativity, which regards gravitational force as an effect of the deformation of space)? To do the work, analogous to the seed of a plant, this information contained in visible matter or space somehow gives the possibility (allows) to use the energy available in the environment. It has been observed that galaxies are receding with a strong and unexpected acceleration (expansion of space) justified by assuming the presence of “dark energy”. Could this “dark energy” also be traced back to those effects attributable to the information contained in ordinary matter itself or in space?

La materia oscura (invisibile) e che non assorbe e non emettere nulla nello spettro elettromagnetico e l’energia oscura che fa espandere lo spazio, facendo di conseguenza allontanare ad esempio le galassie tra di loro (non sono le galassie che si allontanano ma è lo sazio che si dilata), secondo molti studiosi rappresenterebbero insieme la gran parte di tutto quanto è contenuto nell’universo, circa il 95%. Non sono misurabili direttamente, non si sa nulla sulla natura della materia oscura, così come non si sa del perché lo spazio dell’universo si sta espandendo con un’accelerazione crescente, ma ne registrano gli effetti della loro presunta presenza. Se invece di ipotizzare l’esistenza della materia oscura e dell’energia oscura proviamo a ricondurre gli “effetti” osservati e giustificati dalla loro ipotetica presenza ad una informazione contenuta nella materia visibile (ordinaria) e nello spazio (ad esempio nelle particelle elementari presenti, ecc.), come una sorta di un ipotetico software che innesca comportamenti non prevedibili con le attuali conoscenza sulla materia ordinaria (visibile) e di conseguenza  sulle particelle elementari (microcosmo)? La fisica quantistica descrive il comportamento della materia e delle radiazioni a livello microscopico (atomico e subatomico) evidenziandone comportamenti differenti rispetto al mondo macroscopico, ma senza spiegarne il perché, potrebbe essere un indizio della presenza di quella informazione insita (nascosta) nella materia (atomica o subatomica) che non siamo in grado di leggere?

 

Nella figura 1 sono rappresentati due fogli di carata con la stessa massa m1, uno bianco e uno scritto che si trovano nello stesso ambiente che possiamo ipotizzare isolato. La massa che ha inizialmente il foglio bianco (tempo Ti) la indichiamo con m1.  Con il trascorrere del tempo tutti e due i fogli di carata sono destinati ad aumentare la propria entropia, ad esempio perdendo via via massa per l’azione dell’ambiente (degrado del materiale). Il foglio che contiene una scrittura ha un’entropia più bassa rispetto al foglio bianco avendo acquisito dall’ambiente l’energia necessaria per la scrittura (i-t). La differenza sostanziale tra il foglio bianco e quello scritto è che il secondo contiene una o più informazioni (I-t) codificabili da un osservatore esterno e che può fargli compiere un lavoro, ad esempio contiene le informazioni necessarie per poter tagliare un pezzo di legno. L’entropia dell’ambiente in assenza di un osservatore nel tempo è destinata ad aumentare. Cosa accade all’entropia dell’ambiente in esame se un osservatore già presente nell’ambiente stesso al tempo Ti decodifica l’informazione “i-t” consentendogli di compiere un lavoro? il nostro osservatore per decodificare l’informazione e compiere il lavoro dovrebbe utilizzare l’energia presente nell’ambiente e l’entropia dell’ambiente sembrerebbe diminuire. Essendo un ambiente isolato e considerando l’equivalenza dell’energia con la massa, l’energia complessiva dell’ambiente rimarrebbe costante e quindi uguale a quella al tempo Ti. Mesa in questo modo la riduzione dell’entropia potrebbe essere ricondotta alla trasformazione dell’energia in forme differenti.

Nella figura 2 è rappresentato un ambiente isolato dove al suo interno sono presenti due vasi identici contenenti una uguale quantità terra della stessa composizione.  Il vaso A contiene un seme di una pianta e il vaso B un sassolino che ha la stessa massa “mi” del seme. Inizialmente al tempo Ti la massa complessiva contenuta nell’ambiente preso in esame la indichiamo con Mi (comprendendo anche l’aria, l’acqua necessaria alla crescita di piante, accumulatori di energia per l’illuminazione con lampade che potrebbero avere anche la funzione di mantenere la temperatura interna costante, il meccanismo per l’erogazione dell’acqua, ecc.). Ipotizziamo che nell’ambiente vi sia qualche sorta di meccanismo che immette nei due vasi nel tempo una certa quantità di acqua e concime programmati e necessari alla crescita della pianta e che sia anche in grado di regolare adeguatamente le lampade per l’illuminazione dell’ambiente, meccanismo alimentato da batterie sempre contenute nell’ambiate, batterie che hanno inizialmente una quantità di energia accumulata sufficiente a mantenere in vita la pianta per un certo tempo T** necessario alla pianta per riprodursi un numero “n” di volte. Come per l’esempio precedente la riduzione dell’entropia potrebbe essere ricondotta alla trasformazione dell’energia in fome differenti

Dopo un certo tempo Tn nel vaso A sarà cresciuta una pianta che avrà una massa m*>mi e la massa complessiva contenuta nel nostro ambiente la indichiamo con M*i al tempo Tn. Mentre nel vaso B non accadrà nulla, il sassolino avrà ancora una massa “mi “(fatta salva una certa quantità di massa eventualmente persa per un degrado naturale che si disperderebbe ad esempio nel vaso).

Facendo ora riferimento alla figura 1, si può osservare che il foglio scritto trascorso un certo tempo Tn, può trasmettere una informazione (i-t) ad uno degli osservatori che popolano l’ambiente in esame, osservatore che è in grado di codificarla e che può permettergli di compiere un lavoro, lo stesso osservatore può nel tempo trasmetterla ad altri osservatori, senza che questi ultimi debbano necessariamente decodificare l’informazione “i-t” contenuta nel foglio di carta scritto. L’informazione (i-t) si conserverebbe anche dopo che il foglio scritto si sia completamente degradato al punto che l’informazione (i-t) in esso originariamente contenuta non sia più codificabile e trasmissibile. L’informazione è conservata trasmettendola da un osservatore ad un altro utilizzando anche in questo caso l’energia disponibile nell’ambiente ed anche in questo caso, l’entropia dell’ambiente sembrerebbe diminuire almeno fino a quando è presente almeno un osservatore.

Nel secondo caso rappresentato nella figura 2, a differenza del precedente, il seme contiene un’informazione (i-c) che non interagisce con un osservatore, perché non è destinata ad essere codificato da quest’ultimo, ma è utilizzata (codificata) dal seme stesso che fa scattare una sorta di meccanismo che gli consente di utilizzare l’energia disponibile (nelle diverse forme) per dar vita alla pianta e svilupparla. Trascorso un tempo T*>Ti, l’informazione (i-c) viene conservata nuovamente nella stessa forma iniziale (seme) prima che la pianta muoia e come per l’esempio precedente, l’entropia sembrerebbe diminuire almeno sino a quando la pianta rimane in vita, o fino a quanto la pianta è nelle condizioni di riprodursi n volte.

La differenza principale tra i due esempi di figura 1 e 2 è che è che l’informazione (i-t) del foglio scritto della figura 1 può essere trasmessa (codificata) da un soggetto esterno capace di farlo e che con il trascorrere del tempo sarà persa se questa non sarà mai trasmessa (utilizzando l’energia disponibile nell’ambiente) almeno ad un osservatore che abbia questa capacità e che sia in grado di conservarla e trasmetterla a sua volta ad un altro soggetto (osservatore). Invece, nel secondo caso della figura 2 l’informazione (i-c) è presente nel seme e viene utilizzata e conservata dal seme stesso utilizzando le diverse forme di energia utili e disponibili nell’ambiente in cui si trova. In tutti e due i casi (figura 1 e 2) l’informazione dà luogo ad un lavoro, nel primo caso è l’osservatore a compierlo decodificando l’informazione (i-t), mentre nel secondo caso è il “contenitore” stesso dell’informazione (i-c), il seme nel caso di figura 2 a farlo al fine di conservare nel tempo l’informazione. Nel primo caso il fine dell’osservatore e principalmente decodificare l’informazione (i-t) per compiere un lavoro, ma ha la possibilità di trasmettere l’informazione ad un altri/i osservatore/i, opzione questa che dipende dalla volontà dell’osservatore. Nel secondo caso invece il fine del contenitore (seme) è conservare nel tempo l’informazione (i-c).

Terminato questo preambolo, tento di azzardare una ipotesi sulla materia oscura e sulla cosiddetta energia oscura. La mia è semplicemente un’ipotesi che da tempo “mi frulla in mente” e che ho deciso di esporre.

Si discute oramai da qualche decennio sulla presenza dell’energia e della materia oscura. A tal proposito gli studiosi stimano che la materia visibile (ordinaria) rappresenti appena il 5% della materia e dell’energia totale dell’universo (ovvero di tutto quello che è presente nell’universo), mentre la “materia oscura” è stimata attorno al 27% e il restante 68% circa è “energia oscura” (1). Ad oggi non si sa cosa sia la materia oscura e non si è risusciti a spiegare la presenza dell’energia oscura (2), una sorta di stratagemma per spiegare l’accelerazione dell’espansione dell’universo. Si conoscono alcuni effetti congruenti con la loro esistenza, tali da considerarli probabili, come ad esempio l’effetto gravitazionale della materia oscura in grado di deviale la luce e l’osservazione della progressiva accelerazione (espansione) dello spazio (3).

Nel formulare la mia ipotesi mi rifaccio per similitudine al caso della figura 2: il seme che contiene l’informazione.

“Se invece nell’universo non è presente la “materia oscura” così come comunemente si intende, invisibile e impalpabile, ma gli effetti che si osservano e che sono attribuiti alla sua presenza, sono invece permessi (innescati) da una “informazione” contenuta nella materia ordinaria (visibile), o nello spazio stesso in qualche forma (ad esempio particelle elementari, radiazione di fondo,  ecc.) che ancora non siamo in grado di leggere e comprendere e che, come quella del seme di figura 2, permette di sviluppare un lavoro, ad esempio come potrebbe fare la forza gravitazionale (compatibile anche per la legge della Relatività che considera la forza gravitazionale come un effetto della deformazione dello spazio)? Per compiere il lavoro, analogamente al seme di figura 2, questa informazione contenuta nella materia visibile o nello spazio in qualche modo dà la possibilità (permette) di usare l’energia disponibile nell’ambiente. È stato osservato l’allontanamento con una forte e inaspettata accelerazione delle galassie (espansione dello spazio) giustificata come anticipato in precedenza, dalla presenza di una “energia oscura” (4). Questa “energia oscura” potrebbe essere anch’essa ricondotta a quegli effetti riconducibili all’informazione contenuta nella materia ordinaria stessa o nello spazio? “(*)

 

Sintesi bibliografia

1 – Thrne K. Buchi neri e salti temporali, Castevecchi ed.

2 - Tegmamark M., l’universo matematico Ed Boringhieri

3 - idem, Tegmamark M.

4 – Greene B, La realtà nascosta, Ed ET Saggi

5 – Carroll S., Dall’eternità a qui, Adelphi ed.

____________________ 

(*) Ritengo utile evidenziare il rapporto tra entropia e informazione come la differenza tra la massima entropia possibile e l’entropia del sistema  (macrostato) (5)

Caratterizzazione meccanica dei giunti adesivi - Mechanics of adhesive joints (Manuale)

Manuale edifo dalla casa editrice Flaccovio per la progettazione di inioni adesive (colle strutturali) con circa 220 tipologie di giunzione  (ad es. vetro-acciao, vetro-legno, legno-legno, GFRP-GFRP, acciaio-acciaio ecc.) per la progettazioni di componenti edilizi .

Seminario su Ripristino, Copia-Imitazione e modello nel Restauro e nel Recupero nell'architettura storica

 

Tecnica e Innovazione

TECNICA e INNOVAZIONE

prof. ing. Placido Munafò

(Non è consentita la riproduzione anche parziale di questo articolo,  in qualunque forma e formato se non con una autorizzazione scritta dell'Autore)

 

INDICE

        Premessa

  1. Perchè la Tecnica è mediatrice tra Natura e Cultura
  2. Caratteristiche della tecnica
  3. Caratteri della Catena Operativa
  4. Classificazione della Tecnica
  5. Effetti della Tecnica (il paradosso di Elull)
  6. Innovazione delle Tecniche

 

 

 

PREMESSA

Tecnica e Tecnologia oggi sono due termini equivalenti.

In passato con Tecnologia si intendeva uno scritto/discussione sulle arti/mestieri, là dove l’Arte o, meglio, le Arti sono legate alle capacità individuali e alla tradizione. Così ad esempio, in architettura la trattatistica storica è uno scritto “sull’arte di costruire”. Oggi i trattati sono sostituiti dai manuali “sulla scienza delle costruzioni”.

Proviamo a definire Arte e Scienza per rintracciarne le differenze.

Il significato di TECNICA non è definito con precisione nelle diverse lingue, ma potrebbe essere identificato come un modo o un metodo per ottenere un risultato pratico. Purtroppo però tale sintesi non traccia una linea di demarcazione netta perché entrambi hanno una finalità pratica. La differenza tra i due termini può essere allora ricondotta alla loro derivazione: la tecnica (moderna) è un’applicazione del sapere derivato dalla scienza, così come le Arti discendono dalla tradizione e all’abilità individuale. Tuttavia non si può negare che anche le Arti siano in qualche modo l’applicazione pratica di un sapere: teoria delle Arti, teoria basata su una struttura ideale, in virtù della quale, ad esempio, Vitruvio descrive e spiega le proporzioni tra le parti di una costruzione (stili).   Si può quindi concludere che la differenza tra la Tecnica moderna e le Arti sta nel fatto che mentre la prima è un’applicazione pratica del sapere scientifico (teorizzazione scientifica frutto della combinazione di matematica, principi fisici/meccanici e validazione sperimentale), le Arti  non derivano dall’applicazione del sapere scientifico in quanto la teoria delle Arti non ha metodi e contenuti scientifici, differenza che ad esempio ha inciso significativamente su tipo e qualità del risultato pratico, nonché sulla struttura e sui rapporti sociali.

In ogni caso, sia le Arti che le Tecniche raggiungono il fine pratico in presenza di un Agente, della Materia Prima e dello Strumento.

  • La tecnica NON è Scienza Applicata ma tecnica come mediatrice tra cultura e ambiente
  • La teorizzazione scientifica ha influito con modalità diverse sulla tecnologia, crescendo a spese della tradizione, sradicandone le “norme”

(esempi: Leonardo da Vinci sul tiro delle funi, Galileo Galilei sul problema dei travi, teorizzazioni che hanno trovato applicazione solo quando, con l’introduzione di nuovi materiali, si è imposta la necessità del dimensionamento. Altro esempio è  l’introduzione della ghisa nelle fabbriche di tessuti per ridurre il rischio di incendi per cui Bage ha avuto la necessità di trovare la soluzione per determinare le dimensioni delle colonne. Un ulteriore esempio è  passaggio dalla capriata lignea alla e trave reticolare è direttamente connesso all’introduzione del modello semplificato di  Ritter per il calcolo delle tensioni nei componenti la trave reticolare);

  • L’ingegnere NON è un un’interprete dello scienziato, non ha bisogno di conoscere la scienza pura come gli scienziati (fisici, chimici, ecc.), ma è di per sé un esperto che ha conoscenze scientifiche in grado di trasferire/applicare queste conoscenze per ottenere un risultato pratico.

 

Un paradosso

Esiste nei confronti della Tecnica un atteggiamento paradossale che evidenzia una sorta di schizofrenia: ammirazione per i risultati raggiunti e al contempo marginalizzazione rispetto al complesso del cosiddetto “sapere” che, come si diceva una volta, è “frutto dell’attività dello spirito” (filosofia, matematica, scienza in generale o religione). Atteggiamento derivante dal ritenere la Tecnica come semplice manipolazione della materia.

Perché?

La Tecnica di per sé non è riconducibile a qualcosa di materiale. È, se vogliamo,  un concetto a cui nei secoli si è attribuito un significato di operatività o espressione di capacità pratica, o anche mezzo o insieme di mezzi organizzati per raggiungere un fine pratico.

Così per i Greci e i Latini la tecnica è la messa in opera di un sapere che utilizza le potenzialità della natura per modificarla, ma non ha nulla a che vedere con l’attività ritenuta più nobile dello spirito, per cui è ritenuta degna solo quando non produce effetti pratici (macchine inutili).

In Cina e in buon parte dell’Oriente convivevano due tipi di atteggiamento: il confuciano e il taoista.

  • Per Confucio la tecnica è un mezzo/metodo per trasformare la natura un atto che plasma la materia, una concezione simile a quella del mondo occidentale. Trasformazione della natura per mezzo di utensili. Questo atteggiamento nel mondo occidentale ha avuto particolare consenso sino all’avvento della scienza.
  • Per i taoisti (Tao) la tecnica permette di organizzare la natura non potendo trasformarla, di conseguenza è necessario comprenderla e trarne ispirazione per utilizzarla ai propri fini.

 

Nei secoli precedenti la comparsa della scienza, Arte, Tecnica, Magia, Religione formavano un tutt’uno

Bisogna attendere l’avvento della scienza e della rivoluzione industriale (seconda metà del XVIII secolo) per avvicinare il mondo occidentale alla concezione Taoista quando la scienza sostituisce la filosofia nell’ambito dell’attività dello spirito: esistono in natura forze che è utile/necessario dominare e sfruttare.

Fino ai primi anni del XX secolo la scienza ha trovato ispirazione dalla Tecnica, oggi invece le scoperte della scienza consentono il progredire delle Tecniche.

 

1. Perché LA TECNICA è MEDIARTICE tra NATURA e CULTURA

 

Esempio dell’ecosistema, trasformazione in energia da parte degli esseri viventi:

1^ Catena  Produttori (piante)

                     Consumatori (erbivori e carnivori)

2^ Catena  Decompositori (trasformano i residui della 1^ catena)

La Biomassa è l’insieme della 1^ Catena  e dei prodotti della trasformazione della 2^ Catena. Si può quindi distinguere:

  • Sistema inalterato, i rapporti della popolazione della 1^ categoria si mantengono costanti: la biomassa degli erbivori è 25 volte quella dei carnivori e quella dei Produttori (piante) è 2 volte quella degli erbivori; presenza di varietà animali e vegetali (il sistema giovane presenta un incremento della biomassa pur mantenendo costanti i rapporti così come il sistema inalterato non necessariamente giovane).
  • Sistema alterato, la Tecnologia trasforma l’ecosistema inalterato modificando i rapporti della biomassa tra produttori, consumatori e prodotti della trasformazione dei Decompositori con una fluttuazione numerica di detti valori e la riduzione della varietà degli esseri viventi/specie. Ad esempio, l’attività agricola riduce la varietà delle specie, l’allevamento di bestiame modifica il rapporto della biomassa tra erbivori e carnivori.

In definitiva le Tecniche traducono a livello fisico l’incontro tra l’Uomo e la Natura/Ambiente e sono necessariamente specializzate per sopperire alla genericità delle funzioni del corpo umano che non possiede la specializzazione  propria degli altri animali e la tecnica fa da interfaccia tra l’uomo e la natura a spese dell’ecosistema (alterazione), ad esempio: abitazione, lavoro (strumenti/macchine), ecc. che interferiscono/alterano la natura/ambiente.

 2. CARATTERISTICHE della TECNICA

La Tecnica NON può essere considerata come un semplice modo di agire sulla materia, perché ciò implicherebbe che la singola azione tecnica è autonoma à una serie di gesti/operazioni senza alcun rapporto reciproco.

Per esempio, saldare due pezzi di acciaio non costituisce una tecnica, ma è un gesto tecnico che non esisterebbe senza azioni precedenti e successive. Il significato/senso della tecnica risiede all’interno del processo tecnico à insieme di azioni che non si possono né analizzare, né considerare separatamente.

Il processo tecnico consta di tre fasi:

  • Preparazione
  • Azione Principale   
  • Finitura

 

È l’insieme delle fasi del processo tecnico che dà significato/senso alla Tecnica e rendendola comprensibile. Il culmine di questo processo è l’Azione Principale che connota l’intero processo, in questa fase si distrugge la vecchia forma e se ne crea una nuova. In agricoltura invece l’Azione Principale si colloca dopo il raccolto con la trasformazione ovvero alla fine del processo, a differenza della manifattura là dove l’Azione Principale si manifesta all’interno del processo tecnico.

Le Tecniche costituiscono quindi una struttura, ovvero un insieme di elementi che hanno carattere di Sistema.

In relazione a quanto espresso per la definizione delle Tecniche, si può affermare che il Progresso ha significato solamente nel campo delle Tecniche caratterizzandosi:

  • dall’essere unidirezionale
  • dal miglioramento dello sforzo nell’applicazione delle tecniche, ottimizzazione del rapporto sforzo/risultato; e da evidenziare che si parla di progresso in campo sociale solamente nell’accezione di un miglioramento delle strutture sociali e/o tecnico-economiche)

I presupposti che danno significato al del Progresso sono:

  • uno strumento, imprescindibile nelle diverse fasi del processo tecnico (se si vuole realizzare un unione tra due pezzi di legno che rispondano a specifiche esigenze di precisione è necessario avere a disposizione la fresa à strumento);
  • coerenza tra le fasi del processo tecnico (se si utilizza il trattore per arare un campo non è pensabile seminare il campo a mano con di un bastone da scasso);
  • armonia, diciamo così, tra le fasi del processo tecnico

Essendo il progresso una prerogativa delle Tecniche, queste si pongono in un ambito separato dalla cultura.

 3. CARATTERI della CATENA OPERATIVA

 

La Catena Operativa è costituita da più fasi del processo tecnico che trasforma la materia prima in prodotto finito.

La catena operativa può essere:

  • Convergente, caratterizzata dalla continuità delle fasi del processo tecnico (il fabbro che deve battere il ferro finché è caldo, ripetere con continuità un certo numero di fasi di lavorazione)
  • Lineare, caratterizzata da tempi di sosta richiesti dallo stato della materia (la realizzazione di un vaso in terracotta, che deve essere essiccato prima di essere passato in forno)

In base a queste due caratteristiche della catena operativa, le relazioni tra le fasi del processo tecnico sono di due tipi:

  • Forti, presenza di operazioni eseguite secondo un ordine immutabile il lavoro è svolto in continuità, ad esempio, nei secoli passati l’armaiolo per ottenere la lama di una spada, espone al calore il metallo, lo ribatte, lo stira, ne piega/salda gli strati;
  • Deboli, presenza di fasi possono essere interrotte, il lavoro può essere svolto con discontinuità temporale, ad esempio, la costruzione di una struttura in cemento armato prevede tempi di sosta tra la realizzazione delle casseforme, la disposizione dell’armatura metallica, il getto del calcestruzzo e la maturazione del calcestruzzo stesso; dopo ciascuna di queste fasi il processo di costruzione si può interrompere per rivolgersi ad altre lavorazioni.

In ultimo è da osservare che la conoscenza (o il sapere) NON ha la stessa valenza in tutte le catene operative: battere con il martello un metallo caldo per forgiarlo è un processo inconsapevole derivante da una conoscenza diffusa,  invece il tempo di esposizione al calore del metallo, lo stirare il metallo e il piegarlo più volte per saldare i vari strati per ottenere una spada implica la conoscenza specifica del processo tecnico di lavorazione.

 

 4. CLASSIFICAZIONE delle TECNICHE

 

L’analisi di alcuni studiosi del settore sul rapporto tra Tecnica e Cultura li ha portati ad  ipotizzare/individuare due  classificazioni in relazione all’influenza che le Tecniche hanno sulla Società (evoluzione e funzionamento).

1^ Possibile Classificazione

  • Tecniche generatrici di rapporti sociali, ad esempio la produzione in fabbrica genera gerarchie e rapporti sociali, là dove la Tecnica ha un ruolo dinamico e attivo
  • Tecniche che riflettono rapporti sociali sono in generale tutte quelle tecniche che riguardano il “consumo”, l’esempio più immediato è l’abitazione, il cui design, arredo, ecc. rappresenta uno stato sociale
  • Tecniche proprie della vita quotidiana

2^ Possibile Classificazione (Leroi-Gourhan)

Tecniche di fabbricazione  secondo la natura della materia prima:

  • solida o fluida/liquida, materia prima solida; è possibile fare una ulteriore distinzione in solida stabile e fibrosa quando le sue proprietà non mutano nel corso del trattamento (per i solidi fibrosi si deve tener conto dell’orientamento delle fibre);
  • solidi semiplastici, (ad esempio, vetro e acciaio) che è possibile deformare;
  • Solidi plastici che passano dallo stato fluido allo stato solido durante il trattamento;
  • Solidi flessibili possono essere caratterizzati da una superficie piana (ad esempio, le pelli) o dar luogo a composizioni di una certa lunghezza (ad esempio, i tessuti).

Tecniche di acquisizione sono gli strumenti (ad esempio, le armi per la caccia) e procedimenti (ad esempio, agricoltura, estrazione di minerali).

Tecniche di consumo: alimentazione, vestiario abitazione, ecc.

 

5. EFFETTI della TECNICA/TECNOLOGIA

 

Svuotamento/limitazione del potere decisionale (politico).

Storicamente il Potere Decisionale regola i rapporti tra Gruppi sociali sulla base del diritto, operando scelte sul piano Economico raramente irreversibili

OGGI invece il Potere Decisionale ha quasi esclusivamente un compito riconducibile all’applicazione di nuove Tecniche e allo sviluppo delle esistenti (Es. l’energia) e maggioranze politiche possono incidere poco sull’estensione temporale dello sviluppo delle Tecniche,  difficile da manipolare e orientare (J.Ellul).

I problemi politici sono sempre più questioni inerenti la sfera Tecnica

Nell’accezione ampia del termine, la struttura/organizzazione sociale manifesta un’entropia sempre più bassa e la Tecnica assume via via un’autonomia specifica crescente. Le scelte del Potere Decisionale esprimono sempre più la specificità delle Tecniche e l’attività politica è tendenzialmente illusoria.

Il paradosso di Ellul (Cfr. voce “Tecnica” Enciclopedia Treccani):

 “… Il sistema tecnico che è suscettibile di una crescita indefinita e priva di ogni controllo, si situa all’interno di un sistema (terrestre) finito e limitato, ora come può quest’ultimo contenere un sistema infinito?”

 Il problema che riassume tutti gli altri si può sintetizzare come: disequilibrio ecologico, esaurimento delle risorse, crescita demografica, conflitto tra tecnica ed economia, limiti delle potenzialità del sistema naturale.

 

6. INNOVAZIONE delle TECNICHE

 

In prima approssimazione si può distinguere l’Invenzione dall’Innovazione, intendendo con la prima un atto che contribuisce al progresso tecnico, mentre con la seconda l’introduzione di nuovi processi produttivi o di beni. Ma è da notare che dopo la rivoluzione industriale il passaggio dall’Invenzione individuale all’Invenzione/Innovazione non più frutto dell’attività del singolo è una conseguenza della creazione di strutture  di  Ricerca e Sviluppo (R&S), dove lavorano più  specialisti/scienziati/ingegneri, rese necessarie dalla complessità del sistema tecnologico e delle conoscenze scientifiche, conseguenti ai rapidi progressi dell’ultimo periodo della storia dell’umanità. Di conseguenza a differenza tra Innovazione e Invenzione - a seconda delle circostanze -  diventa quindi meno netta e distinguibile.

Chiarito quanto sopra, esiste una regola storicamente verificata, secondo cui  l’introduzione di nuove tecnologie che confliggono tra loro perché svolgono la medesima funzione porta al prevalere di una rispetto alle altre (es. l’automobile, l’energia). à Aggiungiamo che ogni periodo o ciclo storico (soprattutto se successivo alla rivoluzione industriale) è caratterizzato da un numero limitato di Tecnologie Portanti, derivanti dall’introduzione di Innovazioni Tecniche di portata planetaria (N.D. Kondrat’ev):

1^ Ciclo (1787-1942) - machina a vapore

2^ Ciclo (1898-1897) - ferrovia

3^ Ciclo (1898 – 1956) - elettricità e automobile

4^ Ciclo (in corso) - chimica ed elettronica

In definitiva, la valenza dell’Innovazione deriva dall’instabilità del sistema tecnico ed è corretto affermare che le Tecniche comprese in un Sistema Tecnico non sono immutabili, cioè  il Sistema Tecnico NON è rigido, bensì modificabile e le modifiche sono raramente riconducibili alle cosiddette “grandi rivoluzioni” (come quella industriale) mentre l’invenzione/Innovazione è storicamnete frutto di un rallentamento o arresto delle  modificazioni del Sistema Tecnico.

L’Innovazione influenza la struttura sociale, essendo questa particolarmente sensibile alle Strutture Tecniche e la trasformazione/modificazione di queste può avvenire:

  • con l’introduzione di nuovi elementi dall’esterno,
  • con l’Invenzione che può riguardare lo sviluppo di procedimenti esistenti, o connotarsi come un salto di qualità dovuto all’immaginazione.

Come possono evolvere le Strutture Tecniche?

  • nella Società Tradizionale evolve all’interno di limiti imposti dalla struttura sociale (Esempio: introduzione della Staffa nel Medioevo à sviluppo della Società medioevale)
  • nella Società Moderna e contemporanea è la conseguenza di un modo cosciente di operare (Esempio: modifica della forma dei pomodori e della durezza della buccia per permettere alla macchina di raccolta 1962 o la macchina per la trebbiatura 1847)., la conseguenza è il superamento di vincoli sociali; in questo contesto le Strutture Tecniche  hanno ottime possibilità di imporre la propria impronta alle Strutture Sociali

L’innovazione secondo un principio economico equivale allo sfruttamento in termini di produzione di una scoperta tecnica o teorica

In linea più generale, l’Innovazione è configurabile come qualcosa di imprevedibile che è possibile individuare come scoperta che si fa problema al suo manifestarsi: “problema della scienza” e “problema dell’immaginazione” (che in questa trattazione si ritengono gli aspetti più significativi, Cfr. voce Tecnica Enciclopedia Einaudi)

  • “problema della scienza”, perché l’innovazione è di fatto la fenomenologia dell’instabilità di un sistema tecnico che è originata dal sapere ed è in grado di generare modelli come parte del mondo reale
  • “problema dell’immaginazione” perché l’innovazione fonde la visionarietà con l’oggetto del sapere

 

Per concludere:

 

Per quanto riguarda il “problema della scienza”, la capacità dell’innovazione di generare modelli nel mondo reale è congruente con la definizione più  generale di “modello”. Il modello è la risposta a una domanda compatibile con l’enigma che si intende risolvere dove la risposta ha una collocazione teorica (sapere) e può rappresentare un’anticipazione (come nei modelli previsionali), in tal senso potrebbe dare un significato/senso al fatto che l’immaginazione, nel campo dell’Innovazione, è inglobata all’interno del sapere.

 

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