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Placido Munafò

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Briciole di storia: a proposito del turismo balneare, alias le “vacanze a mare”

 

 

Per turismo balneare si intende quello che ha come destinazione le località marittime.

Volendo sinteticamente ripercorre la storia del turismo balneare, questa la si può leggere con due prospettive: quella medica legata al benessere e alla salute e quella economico-sociale dove le località marittime diventano un “luogo di innovazione turistica” (1) e di inclusione.

Dopo la caduta dell’Impero Romano si chiuse il capitolo delle Terme diffuse in tutto il territorio dell’Impero, aperte a tutti e tanto amate e frequentate dai romani dal II sec a.C. al V sec. d.C.  Luogo di incontro e di svago, dove si potevano godere i benefici del bagno e delle saune, quasi una città nella città, dove ci si lavava, si praticava la ginnastica, ecc.. Nei secoli che seguirono il bagno a mare era considerato un’abitudine pericolosa per la salute e una pratica poco consona alle cosiddette persone civili, praticato solamente dal ceto più basso della società come i pescatori, la ciurma delle navi e i contadini (per lavarsi e meglio sopportare la calura).

Nel XVII secolo cambiò l’atteggiamento dei medici che iniziarono ad elogiare i benefici delle terme. Iniziò così la costruzione di nuovi stabilimenti termali ad uso delle classi più agiate che potevano soggiornarvi e usufruire dei benefici dei bagni termali.

Nei primi decenni del XVIII secolo i medici iniziarono a raccomandare il bagno in acqua salata dopo aver riscontrato gli effetti benefici per la salute nelle terme di Scarborough (Inghilterra) dove l’acqua aveva infiltrazioni di acqua marina e raccomandarono di fare il bagno a mare in acque fredde e addirittura di berla. Il bagno a mare divenne curativo (per il rachitismo e per aiutare la ripresa dei convalescenti, su quest’ultimo aspetto oggi avremmo molte perplessità) e in particolare in Inghilterra iniziò il turismo verso le località costiere e iniziarono a diffondersi gli stabilimenti balneari. Moda che contagiò poi anche la nobiltà europea che era invece abituata a trascorre le vacanze nelle proprie tenute di campagna e di lì a poco questa moda contagiò anche l’alta borghesia e in seguito anche la media borghesia grazie al miglioramento delle proprie condizioni economiche dovuto all’industrializzazione. Le località balneari si attrezzarono per fornire servizi differenziati adeguati alle diverse fasce sociali. In questo periodo (tutto il XVIII secolo) la spiaggia non era un luogo attrezzato dove sostare a prendere il sole, ma era utilizzata per arrivare al mare per fare il bagno, o qualche passeggiata.

Nel XIX secolo i medici si convinsero che l’aria di mare faceva bene all’organismo, soprattutto per curare le malattie polmonari, invitando di conseguenza a sostare in riva al mare, rimanendo però dell’idea che il   bagno nelle acque fredde del mare era un toccasana per l’organismo. Si andava al mare completamente vestiti e la spiaggia non era un posto particolarmente ospitale e privo di attrezzature come oggi siamo abituati a vedere, per cui dopo il bagno nelle acque fredde si ricercava il comfort nelle strutture ricettive, questo contribuì a dare il via alla urbanizzazione delle località costiere. Il Mediterraneo però almeno fino a XIX secolo, era considerato un posto caldo, afoso non in linea con le “credenze mediche dell’epoca”, sino a quando i medici scoprirono i benefici del sole e la pelle abbronzata non fu più considerata un brutto inconveniente.  Sino ad allora la pelle abbronzata era sinonimo di appartenenza alle classi sociali più povere come i pescatori o i contadini. Il mediterraneo divenne quindi la meta privilegiata del turismo balneare a discapito di quello del Nordeuropa che ovviamente entrò in crisi. Di conseguenza la spiaggia divenne un luogo dove sostare a prendere il sole e di vita sociale. Cominciarono così ad affermarsi soprattutto in Italia e in Francia (tra i primi decenni e la metà dell’800) le prime località turistiche attrezzate come Viareggio, Venezia, Rimini, Livorno, Napoli, Palermo e la costa marsigliese.

All’inizio del XX secolo, fatta eccezione degli anni della Priama Guerra Mondiale e dell’immediato dopo guerra, le località marittime dell’Europa meridionale erano la meta preferita dell’aristocrazie e dell’alta borghesia che vi sostava anche per svernare, godendo del clima mite di queste località. Iniziano a diffondersi le guide turistiche e l’ampliamento delle reti ferroviarie e il diffondersi delle automobili favorirono questo turismo di élite (2).

Si può dire che gli italiani iniziarono a frequentare le località balneari durante il Governo Mussolini grazie allo stanziamento di cospicui investimenti per la costruzione di Colonie estive (Gestite dall’Opera Nazionale Maternità e Infanzia, Cfr. post nel blog “Briciole di storia: L’Opera Nazionale Maternità e Infanzia -O.N.M I”) che hanno dato la possibilità anche ai figli dei ceti meno ambienti  di godere delle vacanze estive al mare, unitamente ad  attività ricreative e ginniche.

Nel dopo guerra tra gli anni ’50 e i primi anni ’60 con il cosiddetto boom economico si assiste in Italia ad un vero e proprio turismo di massa verso le località di mare e per concludere, facendo riferimento all’evoluzione del turismo vacanziero di Battilani (1), si possono individuare le seguenti fasi:

  • negli anni ‘50, si assiste ad un turismo di massa di “tipo spontaneo” favorito dal miglioramento delle condizioni economiche delle famiglie e all’uso sempre più diffuso dell’auto in sostituzione del treno. L’offerta ricettiva si diversifica, accanto ai grandi alberghi di lusso nascono una miriade di attività ricettive a conduzione familiare molto più economiche in grado di offrire servizi di base;
  • negli anni ’60 e ‘70 , alla piccola impresa a conduzione familiare si sostituisco le grandi catene ricettive in grado di applicare costi di soggiorno medio-bassi in linea con l’affermazione dei Tour Operator e i voli charter. Un “pacchetto” offerto a costi vantaggiosi giocando sull’economia di scala avviando così un processo di internazionalizzazione del turismo;
  • tra gli anni ’80 e ’90 questo modello di turismo inizia ad entrare in crisi. La vacanza non è più semplice svago o evasione, ma un’opportunità di fare nuove esperienze e ampliare le proprie conoscenze. Ai voli charter si sostituiscono quelli low cost che consentono di raggiungere diverse e molteplici località turistiche a costi medio-bassi e dagli anni ’90 la diffusione di Internet permette alle varie destinazioni turistiche di promuoversi al di fuori dei classici mezzi di informazione (TV e tour operator). Si passa ad un modello di turismo sempre più personalizzato, nuovi luoghi e nuove possibilità come percorsi letterari, del vino, pacchetti benessere, ecc. Inizia anche a cambiare il rapporto dei Cittadini con le Città che offrono attività estive di vario genere, in sostanza le Città scoprono la propria vocazione turistica.
  • Dal 2000 (volendo dare una data di riferimento) il diffondersi dei social networks permette ai residenti delle località turistiche e più in generale di ogni luogo del territorio (Città comprese) di promuovere la propria attività turistica e allo stesso tempo <<ciascun turista sulla base delle proprie esperienze può diventare un creatore di nuovi prodotti. Si entra nella fase del turismo relazionale, un modo in cui la capacità di mantenere i propri clienti nel tempo … si lega alla capacità relazionale che gli operatori del settore e gli stessi residenti sanno mettere in campo>> (1)

 

  • Battilani P., “Vacanze di pochi vacanze di tutti”, Il Mulino 2009
  • (2) Eco U. (a cura di) “ Storia della civiltà europea”, EncycoMedia

Briciole di storia: la soluzione italiana alla crisi economica del 1929

Con il primo conflitto mondiale (1914-1918) gli USA fu il Paese che trasse il maggior profitto grazie alle esportazioni verso l’Europa in guerra di prodotti agricoli e industriali diventando negli anni ’20 la prima potenza economica mondiale e la sua moneta (il dollaro) divenne la valuta più forte a discapito della Gran Bretagna che perse il ruolo della “cassaforte economica mondiale”.

Negli anni ’20 del secolo scorso gli americani beneficiarono di un benessere economico diffuso e il Governo mise in atto una politica protezionistica e di isolamento politico per difendere lo status economico raggiunto (anche da ampi stati della borghesia americana).

In Europa finito il conflitto mondiale, pian piano le economie dei vari Paesi iniziarono a riprendersi riducendo considerevolmente le importazioni dagli USA, sia di prodotti agricoli che industriali.

Le esportazioni americane andarono così via via a riducendosi e il mercato dei beni di consumo durevoli si saturò lasciando molti di questi invenduti (nessuno comprava perché già li possedeva). Finì così lo sviluppo economico dei ruggenti anni ’20 e iniziò la depressione economica che investi pesantemente l’agricoltura e l’industria americana sfociata nel crollo della borsa di New York del 29 ottobre 1929 che mise economicamente sul lastrico moltissimi investitori che persero i loro capitali. Molte industrie fallirono, gli agricoltori si videro esportare le fattorie dalle banche che negli anni passati avevano elargito loro prestiti e l’insolvenza di questi crediti provocò anche il fallimento di molto Istituti di credito con conseguenze catastrofiche nella società americana. Si contarono più di 15 milioni di disoccupati e un impoverimento di larghi strati della società americana. Il Governo americano non intervenne, né per salvare le banche e quindi i depositi delle famiglie, né l’industria lasciando di fatto al mercato la funzione di regolatore e stabilizzatore economico.

Ma già in quel periodo le economie mondiali erano interconnesse e la crisi investì anche l’Europa, colpendo in particolare quei paesi come la Gran Bretagna, l’Austria, la Germania e i Paesi Latini che avevano stretti rapporti economici e finanziari con l’America. L’America ritirò anche i prestiti per la ripresa nel dopo guerra (piano Dawes) che aggravò ulteriormente la crisi economica in questi Paesi. In Europa le democrazie cominciarono a vacillare sulla spinta di un malcontento diffuso che si concretizzò in manifestazioni anche violente i cui Governi tentarono di contenere anche con la forza. Con il perdurare della crisi in molti settori della società si rafforzarono i sentimenti nazionalisti e si maturò un forte desiderio stabilità sociale che favorì il consenso verso schieramenti politici guidati da uomini autoritari reputandoli in grado di riportare l’ordine sociale e una migliore equità economica in alternativa al comunismo. Così, ad esempio, in Germania nel tempo aumentò sempre più il consenso verso il Partito Nazional Socialista (Nazista) che dopo il susseguirsi di diversi governi di breve durata, approdò nel 1933 dopo elezioni al Governo. Nello stesso periodo non pochi all’estero (Francia, Gran Bretagna ad esempio) guardavano con interesse all’Italia dove dal 1922 si era insediato il Governo di Mussolini, che aveva garantito stabilità sociale e politica dopo i disordini sociali dell’immediato dopo guerra (1919-1921), sfociati in sommosse, manifestazioni, occupazioni di fabbriche da parte degli operari e serrate (chiusura delle fabbriche) imposte dagli imprenditori come risposta.

Ma agli inizi degli anni’30 si guardò con interesse all’Italia per le scelte economiche fatte dal Governo considerate come alternativa all’economia capitalista o centralizzata (comunista) e in particolare all’istituzione dell’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale, istituito il 21 gennaio 1933). Inizialmente l’IRI doveva avere un carattere temporaneo per far fronte alla crisi economica e industriale del Paese conseguente, sia alla crisi del ’29 che alla improvvida rivalutazione monetaria operata nel ’27. La novità sostanziale di questa Istituzione consisteva nell’intervento pubblico a sostegno dell’economia del Paese per favorire e facilitarne lo sviluppo, in cui lo “Stato Imprenditore” per mezzo dell’IRI (ente autonomo e indipendente), partecipava direttamente alla riorganizzare del sistema bancario e alla ricollocazione delle partecipazioni bancarie nelle imprese.

Quando nel 1937 l’IRI divenne un Ente permanente, furono istituite due sezioni distinte: una bancaria costituite da tre banche (Banche di Interesse Nazionale – BIN) con maggioranza di capitale pubblico   e un’altra industriale con la partecipazione di capitale pubblico nelle imprese. L’IRI era sotto il controllo del Tesoro nella forma di Ente Pubblico di Gestione. Le imprese controllate dall’IRI erano di fatto Società commerciali di diritto privato che avevano anche significative partecipazioni di capitale privato. Le Società dell’IRI avevano all’epoca un rilievo strategico: siderurgia, cantieri navali, industria meccanica e elettromeccanica e gestioni di reti e servizi. La gestione delle imprese era basata sul principio della redditività quindi, in una forma profondamente differente dalle imprese nazionalizzate.

 Nel 1992 iniziò la privatizzazione dell’IRI con la Presidenza dell’Ente di Romano Prodi che portò poi alla sua messa in liquidazione il 27 giugno del 2000 con il secondo Governo Amato. L’IRI cessò la sua attività l’1dicembre 2002.

 

Breve sintesi bibliografica:

Stiria dell’IRI, ed. IBS.ir

La crisi del ’29, di Fumian C., Novecento .org

 

A proposito dei costi della politica: i sevizi erogati da Società a capitale pubblico (idrico, rifiuti, ecc.)

I costi della politica che incidono sui bilanci familiari dei Cittadini sono anche quelli dei Servizi erogati da Società a capitale interamente o a maggioranza pubblica come quello idrico, dello smaltimento dei rifiuti, ecc., create dagli stessi Enti pubblici con proprio capitale (Comuni per fare un esempio) nelle varie forme societarie come Società a Responsabilità Limitata (S.r.l.) o per Azioni (S.p.a.). Servizi spacciati come “a gestione pubblica” da parte di società che per loro natura sono a scopo di lucro e operano nel mercato come tutte le altre a capitale privato. Ma credo che queste Società siano utili ai soli partiti che nominano di fatto i componenti dei Consigli di Amministrazione, perché il loro operato non è vincolato al rispetto delle normative per i servizi erogati direttamente da Enti pubblici come i Comuni e le Regioni come avveniva in passato con una gestione diretta, sottraendolo al vaglio (controllo) del Consiglio comunale, o regionale. Per fare un esempio, queste Società che gestiscono i servizi per conto dell’Ente pubblico, anche se sono costituite con capitale a maggioranza pubblica di proprietà degli stessi Comuni o Regioni, possono assumere personale, affidare consulenze, fare investimenti operando liberamente come tutte le società private. I servizi gestiti da queste Società sono poi affidati nella sostanza in regime di monopolio (in House) senza alcuna concorrenza del mercato. Da questo stato di cose ne deriva che possono applicare tariffe per i servizi erogati conseguenti alle proprie autonome scelte societarie (numero di personale assunto, investimenti fatti, ecc.) e non dipendenti dalla libera concorrenza di mercato a discapito dei Cittadini (utenti) che pagano questi servizi. Viene da dire: non prendiamo in giro spacciando come servizio gestito dal pubblico quello che nei fatti non lo è!!

 

Briciole di storia: A proposito dell’Anniversario dell’Unità d’Italia è l’ingresso di Garibaldi a Palermo

Molti storici da qualche decennio stanno riscrivendo il nostro risorgimento mettendone in luce una verità dei fatti ben diversa da quella che ci è stata narrata per più di un secolo e mezzo (Cfr. in questo sito le pubblicazioni segnalate nella sezione “Pubblicazioni – Segnalazione pubblicazioni”, voce “Storia”).

L’entrata di Garibaldi nella Città di Palermo il 27 maggio 1860 è raccontata dalla storiografia ufficiale del risorgimento italiano, come trionfale tra la folla festate, ma questa versione potremo definirla una  Fake News, in quanto fu di fatto una farsa (Cfr.  ad esempio, G. Scianò, “E nel mese di maggio 1860 la Sicilia diventò colonia”, Pitti Ed.).

Le strade e le piazze della Città, contrariamente a quanto ci è stato raccontato, erano vuote. Migliaia di Cittadini, avuta la notizia che i garibaldini da lì’ a poco sarebbero entrati in Città, terrorizzati erano fuggiti con ogni mezzo (navi e a piedi) e quelli rimasti erano barricati nelle loro case. Gran parte della nobiltà e del ceto borghese benestante erano fuggiti in campagna o avevano pagato a caro presso un posto sulle navi pronte a partire, o avevano ottenuto un posto nelle navi inglesi in rada davanti al porto di Palermo.

Altrettanti (soprattutto del ceto medio-alto) si erano imbarcati su barche che stazionarono dietro le navi inglesi, o erano partite per ormeggiarsi in porti nelle vicinanze della Città, mentre i più poveri (tanti) fuggirono a piedi.

Con i garibaldini che “presero” la Città c’erano circa quattromila “picciotti” appartenenti alla  mafia e mercenari stranieri capeggiati dal colonnello Eber della Legione Ungherese che ebbe un ruolo importantissimo, se non decisivo,  nella conquista di Palermo e delle Sicilia. In quei giorni a Palermo regnava il caos, e il terrore e la Città fu oggetto di saccheggi e molt

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A proposito della proposta di istituire Regioni ad Autonomie Differenziate

Cercherò in estrema sintesi di limitarmi a mettere in evidenza una questione o un problema se così si può dire, sottaciuto o se vogliamo più o meno volutamente ignorato, diretta conseguenza della nostra storia risorgimentale. Il Risorgimento italiano è oggi da molti studiosi rivisitato (e se volgiamo reinterpretato) mettendo in luce una realtà storica molto distante da quella che ci è stata da sempre propinata (cfr. ad esempio Matteucci B., L’invenzione dell’Italia Unita 1855-1864, edito da Sansoni Ed.). A tal proposito tengo a precisare che a mio parere questa reinterpretazione storica del nostro Risorgimento, non dà adito ad invenzioni come la “Padania”, proposta da chi presumibilmente vorrebbe impropriamente richiamarsi all’epoca dei “Comuni”.

Presso questo, ricordo che in Italia si sono istituite quattro regioni autonome (Valle D’Aosta, Friuli-Venezia Giulia, Sardegna e Sicilia) e addirittura due Province autonome (Trento e Trieste) le cui motivazioni storiche potrebbero oggi anche ritenersi superate. Questo stato di fatto però ha creato e crea una disparità di “trattamento” dello Stato verso i Cittadini di uno steso Paese (si

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