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Chi erano questi ragazzi che caduto il Fascismo furono dimenticati? Erano 2204 ragazzi tra i 18 e i 19 anni che si arruolarono volontari nel Regio Esercito Italiano nel 1940 rispondendo all’appello della Gioventù Italiana Littorio. Un reparto di giovani che gli stessi inglesi che li affrontarono in battaglia definirono: “il più bel reparto avversario in Africa” soprannominandolo i “Mussolini Boys”
Dopo un periodo di addestramento nel 1941 sbarcarono a Tripoli e qui furono anche un po' derisi dagli altri reparti italiani per la loro presunta inesperienza. Dopo alterne direttive del Ministero della Guerra, presero il nome di BB.FF. (Battaglione Giovani Fascisti) e furono destinati ad occupare i presidi di Homs e Misurata.
I BB.FF. furono suddivisi in due gruppi, il primo al comando del maresciallo Balisto e il secondo al comando del maresciallo Benetti.
Quasi nello stesso periodo fu inviata in Africa occidentale la Deutiche Afrika Korp con al comando il Feldmaresciallo Rommel per dar man forte all’esercito italiano in difficoltà. Il 21 novembre 1941 i ragazzi del BB.FF furono inviati a difendere la zona di Bir el Gobi. Avevano di fronte soverchiati forze inglesi equipaggiati con artiglieria pesante e mezzi corrazzati. Nei primissimi giorni di dicembre del 1941 gli inglesi iniziarono l’attacco preceduto da un pesante fuoco dell’artiglieria a cui seguirono ben sette tentativi del XXX Corpo britannico di prendere la zona di Bir el Gobbi, ma furono tutti respinti dal ragazzi del BB.FF. Malgrado la resistenza italiana, la zona fu interamente circondata dalle truppe inglesi anche se i ragazzi del BB.FF. continuarono a resistere e a mantenere la loro posizione e inflissero agli inglesi pesantissime perdite. L’assedio degli inglesi terminò quando arrivò in loro aiuto la Panzer Divisionen e la Divisione Ariete riuscendo così a respingere definitivamente gli inglesi. Dopo questa prova di valore i ragazzi del BB.FF. ripiegarono con le altre forze italo tedesche e furono incorporati nella divisione Sabratha
Le perdite inflitte agli inglesi dai ragazzi del BB,FF. a Bir el Gobi, oltre al materiale bellico distrutto, furono di 300 morti, 200 feriti e 70 prigionieri, contro 54 morti, 117 ferito e 31 dispersi tra le file del BB.FF.
Questi ragazzi continuarono a partecipare ad altre azioni belliche nella Campagna d’Africa contando complessivamente 1338 caduti in combattimento.
Alcuni riferimenti bibliografici: Mugnone G., “I ragazzi di Bir el Gobi”, Ed. La Lucciola; Candia F., “Pagine di gloria. I giovani fascisti a Bir el-Gobi”, Ed Greco E Greco, collana Nargre.
La Moka “macchinetta” per il caffè così originariamente chiamata dell’inventore Adolfo Bialetti e prodotta in più di 100 milioni di esemplari, rappresenta un simbolo unanimemente riconosciuto del design italiano tale da far parte delle collezioni permanenti del Triennale Design Museum di Milano e del Museum of Modern Art (MoMA) di New York.
Alfonso Bialetti, l’inventore della Moka (o Moca), fino al 1918 era immigrato in Francia dove lavorava come fonditore in una fabbrica di alluminio. Nel 1919 apre un’officina di semi lavorati in alluminio e successivamente fonda l’azienda Alfonso Bialetti & C. Fonderia in Conchiglia. Grazie a questa sua esperienza lavorativa (dell’alluminio) poté ideare e realizzare la sua invenzione che brevettò nel 1933 (brevetto n. 425231 del 27.09.1933).
Il nome Moka probabilmente deriva dal nome della città Mokha nello Yemen, all’epoca un importante centro di produzione ed esportazione del caffè.
L’azienda di Alfonso Bialetti iniziò la produzione della Moka, era di tipo artigianale con una produzione relativamente limitata di pezzi. Solo dagli anni ’50 ad opera del figlio Renato, ottimo imprenditore, si sviluppò come una vera e propria industria, grazie anche agli investimenti fatti in pubblicità (ad esempio dal 1958 in Tv con Carosello) e il depositando il noto
Il 26 giugno del 1946 il primo governo De Gasperi, formato da DC (Democrazia Cristiana) PCI (Partito Comunista Italiano), PSUP (Partito Socialista di Unità Proletaria), Il Partito D’azione e il Patito Democratico dei Lavoratori, firmò con il Belgio un accordo che impegnava l’Italia ad adoperarsi per fornire 50.000 lavoratori italiani al ritmo di 2000 alla settimana, da impegnare nelle miniere di carbone del Belgio in cambio di 2500 tonnellate di carbone ogni 1000 lavoratori, praticamente gli emigrati italiani erano di fatto una “merce di scambio”. È difficile conoscere il numero esatto dei lavoratori italiani partiti per lavorare nelle miniere belghe, ma si stima che siano stati tra i 75.000 e gli 80.000.
Perché il Belgio aveva tutto l’interesse a “importare la manodopera” italiana? Perché gli italiani da impegnare nelle miniere erano assunti con salari molto inferiori a quelli dei lavoratori belgi, erano lavoratori senza tutala sindacale e perché i belgi non avevano intenzione di lavorare in quelle miniere che sapevano insicure perché i proprietari delle miniere non le avevano ammodernate. Il contratto di lavoro aveva una durata di 12 mesi e per alloggiare i lavoratori italiani, furono utilizzate le baracche di vecchi campi di concentramento tedeschi per prigionieri russi prima e tedeschi poi, inoltre il Belgio poteva trattenere dai salari dei lavoratori italiani le spese che aveva anticipato per il loro trasferimento.
Vennero in Italia medici belgi per selezionare in centri appositamente istituiti, i lavoratori ritenuti sani da inviare nelle miniere, e poi fatti salire su treni dove nessuno poteva scendere una volta superato il confine con la Svizzera per impedire che potessero scendere in quel Paese prima di arrivare in Belgio.
Il Governo italiano fece affiggere ovunque manifesti per invogliare ad emigrare in Belgio e fece la sua parte anche il cinema neorealista che, se così si può dire, propagandò l’emigrazione come un’oppertunità di lavoro, in un periodo storico in cui c’era molta forza lavoro disoccupata.
Solamente nel 1948 furono abolite le discriminazioni di trattamento salariale tra italiani e belgi.
Al di là di chi ha la colpa per la “caduta” del Governo Draghi che reputo un problema del secondo ordine, mi sono sempre chiesto che ci stanno a fare in Parlamento i Deputati e Senatori dei diversi Partiti che per salvare le sorti del Paese hanno dovuto chiamare a Capo del Governo un tecnico esterno perché indispensabile, una sorta di “salvatore della patria”. E’ a mio avviso una palese ammissione di incapacità politica dei partiti a governare il Paese è mi domando perché si sono presentati agli elettori sbandierando ricette miracolose che avrebbero salvato se non addirittura fatto crescere il nostro Paese? Erano solo parole vuote prive di significato, “specchietti per le allodole”?
Da qualche anno si fa un gran parlare di “Rigenerazione Urbana” e penso abbia senso pratico nel momento in cui l’intervento è inserito ed è funzionale al contesto urbano e sociale attuale. Non può essere né una musealizzazione come la semplice conservazione dei luoghi e dei suoi veicoli materiali a testimoniare un passato, né un intervento di “manutenzione urbana” che si limita all’attualizzazione (abbellimento, rifacimento) delle facciate degli edifici, la sistemazione del verde e degli spazi comuni.
La Rigenerazione Urbana è quindi un intervento che va inteso come un’operazione di attualizzazione di “un luogo” congruente con le dinamiche della società di oggi e pertanto, il progetto di intervento è con il presente che deve necessariamente confrontarsi. Credo che sia un intervento più complesso di quanto si possa credere che coinvolge anche la destinazione funzionale del costruito e degli spazi urbani, compresa la demolizione di quegli oggetti edilizi che motivano l’intervento o se vogliamo fanno nascere l’esigenza di intervenire.