La prima fase dell’eliminazione degli Italiani nelle foibe in Istria, risale al 1943 subito dopo l’8 settembre e interessò in particolare chi all’epoca era Amministratore locale del cosiddetto “territorio libero” nel frattempo occupato “dall’esercito di liberazione jugoslavo” meglio noto come i partigiani del comunista Tito alleati di Stalin. Occupazione che durò sino all’intervento tedesco volto a ristabilire il loro pieno controllo nella Jugoslavia  Nel maggio del 1945, terminata la guerra, cominciò una seconda fase in cui i partigiani di Tito iniziarono le fucilazioni di massa degli italiani e la loro  “infoibazione” (i cadaveri dei fucilati, ma anche persone ancora in vita vennero gettate  nelle profonde caverne istriane - foibe). Trattamento che i partigiani di Tito riservarono anche a tutti coloro che reputavano avversari o un pericolo per il regime comunista instaurato da Tito e che interessò tutto il territorio jugoslavo (si stima che oltre gli italiani furono uccisi circa 100.000 abitanti della Jugoslavia). Tra il 1946 e il 1948 iniziò il primo grande esodo forzato degli italiani di Istria verso l’Italia, esodo che continuò per quasi un decennio. Gli Italiani d’Istria rappresentavano da moltissimo tempo una presenza significativa in quel territorio e furono loro poste dal regime comunista di Tito condizioni tali che costrinsero la gran parte di loro a fuggire. Solo un’esigua minoranza, circa l’8%, decise di rimanere, perlopiù spinti dall’attaccamento verso la terra di origine e questa scelta costò loro la perdita totale dell’identità nazionale, delle radici culturali e linguistiche, nonché la completa sottomissione al regime e negli anni successivi furono considerati come una sorta di popolazione di “serie B” vista

sempre con diffidenza e sospetto. Per gli altri che non si sentivano di accettare tali condizioni, furono in un primo momento quasi sistematicamente eliminati e poi costretti a emigrare e ad abbandonare tutti i loro averi. In questo modo Tito dette pratica attuazione al suo progetto di pulizia etnica finalizzato a  cancellare non solo la presenza degli italiani, ma ogni traccia di storia e cultura italiana in Istria. Nel periodo che va dal 1945 al 1948, Tito era un alleato di Stalin così come il partito Comunista Italiano che nei fatti era alle sue dipendenze. In quello stesso periodo (dicembre 1946) De Gasperi (primo ministro italiano) partecipò ai lavori della Conferenza di Pace di Parigi, sperando in un primo momento che l’Italia fosse trattata dalle potenze vincitrici diversamente dalla Germania perché dopo l’8 settembre 1943 una parte degli italiani aveva combattuto a fianco degli alleati. Ma così NON fu. L’Italia fu trattata  alla stregua del Germania come una Nazione che aveva perso la guerra e quanto fatto dai partigiani italiani fu considerato come facente parte di un periodo bellico oramai definitivamente finito, una sorta di binario morto a cui non dare alcun seguito. A ben poco valse il disperato appello di de Gasperi per mantenere l’Istria, Trieste e sul disarmo imposto all’Italia che per la prima volta nella storia si trovava nelle condizioni di non poter difendere la propria popolazione. Purtroppo per l’Italia in quel periodo non era ancora iniziata la “guerra fredda” e i consiglieri del Presidente americano (come a Jalta  nel febbraio 1945) consideravano Stalin un alleato affidabile che nel corso della guerra aveva cambiato la sua visione politica, convinti che si sarebbe incamminato verso una democrazia liberale in Russia. In questo primissimo dopoguerra, salvò Trieste dalle grinfie di Tito, l’interesse degli americani al suo porto  che nei loro progetti  doveva diventare lo scalo principale nel Mediterraneo ed istituirono il “territorio libero di Trieste” (zona A) amministrato in via provvisoria dalla Jugoslavia, ma sotto il controllo americano. Dopo poco gli americani persero l’interesse iniziale per Trieste, ma per fortuna dell’Italia iniziò la guerra fredda  e nel 1954 Trieste poté ritornare italiana. Ma per gli italiani di Istria le loro sofferenze non terminarono una volta sbarcati in Italia e le loro vicende continuarono a dipendere da quelle politiche jugoslave.  Furono accolti in Italia in malo modo, scherniti, insultati, oggetto di lancio di oggetti e sassi fu loro in alcuni casi impedito di sbarcare come accadde ad Ancona e una volta sbarcati, furono ghettizzati. Un atteggiamento quello dei compatrioti italiani, frutto anche della propaganda della sinistra italiana, all’epoca del primo esodo (1945-1948) stalinista e rimase tale  almeno fino all’avvento al potere di Kruscev in URSS (1958). Il messaggio  che la sinistra faceva passare è che questi italiani avendo volontariamente abbandonato l’Istria diventata grazie a Tito “un Paradiso Comunista” erano di conseguenza  nemici del popolo e fascisti. Un’altra motivazione  è da attribuire al fattore antropologico da rintracciare nelle differenti abitudini e dialetto rispetto alle popolazioni autoctone, ma il fattore più discriminate fu quello politico anche nel periodo successivo dagli anni ’60 fino alla caduta del muro di Berlino (1989), del regime Sovietico e la morte di Tito con il dissolvimento della Jugoslavia. Nel periodo che va dagli anni ’60 agli ’80 alle motivazioni ideologiche della sinistra, si sommò l’opportunismo dell’occidente quando Tito prese le distanze dall’Unione Sovietica. Questo fece si che calasse una cortina di oblio sull’eccidio delle Foibe e l’esodo degli istriani. Infatti l’occidente, Italia compresa, aveva tutto l’interesse a non inimicarsi Tito nel periodo della guerra fredda, perché la Jugoslavia era come un filtro territoriale nel caso di una potenziale invasione delle truppe del Patto di Varsavia. Truppe di invasione che avrebbero necessariamente ritardato l’ingresso dalla frontiera italiana di qualche giorno o settimana, il tempo necessario ed utile per dar modo alle forze della Nato di organizzare una difesa o una contro offensiva. Queste motivazioni spiegano in parte anche la regalia fatta dal governo Italiano a quello jugoslavo con i patti di Osimo alla metà degli anni ’80, con la cessione definitiva della zona B dell’Istria alla Jugoslavia che invece doveva ritornare italiana.