Sentiamo e utilizziamo spesso termini come tecnica, tecnologia e innovazione molto spesso però non conoscendone a pieno il significato e ruolo nella società e quindi anche nelle professioni. Il loro significato deve invece essere ben chiaro ad esempio ad un ingegnere, come ad un architetto che per “mestiere manipolano la materia”. La “tecnica” si caratterizza in tre fasi: la preparazione della materia, un’azione principale sulla materia ovvero la sua trasformazione per raggiungere l’obiettivo (fase in cui la materia di origine perde la forma e anche le sue caratteristiche originarie) e in ultimo (terza fase) la finitura. In un processo qualsiasi, in mancanza di queste tre fasi non si può parlare di tecnica. Cosi ad esempio è errato parlare di “tecnica informatica”, perché l’informatica è la scienza della “rappresentazione“ e “dell’elaborazione dell’informazione”, cioè l’elaborazione dei dati di input attraverso una “macchina” meglio conosciuta come computer (elaboratore elettronico). È invece il computer il prodotto materiale derivante dalla “tecnica”.  Definire come il prodotto di una “tecnica” il software (di fatto un algoritmo  scritto con un apposito  linguaggio decifrabile da un computer) che permette  di elaborare i dati di input, é come dire che una formula matematica è il risultato  di una tecnica.  La tecnica o la tecnologia, oggi i due termini sono in pratica equivalenti (1), sono da un lato oggetto di ammirazione, ma nel contempo sono relegate in secondo piano rispetto al cosiddetto “sapere” come si diceva una volta “frutto dell’attività dello spirito”, come la filosofia, la matematica o più in generale la scienza e tempo addietro la religione. Un atteggiamento paradossale

questo che è un retaggio della cultura classica (2). Allo stesso tempo quando si parla di tecnica (o tecnologia) è necessario comprendere l’azione mediatrice della tecnica tra natura e cultura. Oggi, a differenza del passato, il termine “tecnica” presuppone un’operazione riconducibile ad una catena operativa (sistema) di trasformazione della materia prima svincolata dalla capacità ed esperienza individuali come nei processi di produzione industriale (3). È anche da precisare che la tecnica non è del tutto equiparabile alla scienza applicata dovendo “accontentarsi” di approssimazioni e non essere precisa come la scienza stessa, ma conferisce utilità pratica al sapere scientifico e viceversa la “scienza” ha finalità pratiche nella società moderna. L’innovazione oggi è quindi una conseguenza della teorizzazione scientifica validata sperimentalmente, a differenza del passato dove l’innovazione nasceva dall’esperienza pratica non derivabile dalla conoscenza delle leggi della natura. Ma l’innovazione e quindi il progresso tecnologico è illimitato? Questa domanda pone un altro quesito (il paradosso di Hall): come potrebbe un processo illimitato essere contenuto in un mondo finito?

 

1) In passato con il termine “tecnologia” si intendeva lo “studio delle arti” uno scritto sulle arti.

2) Nell’età classica greca la tecnica come operazione manuale era disprezzata rispetto alle attività dell’uomo ritenute più nobili che sono in grado elevare lo spirito (filosofia, religione, ecc.). La tecnica per essere considerata al pari delle attività più nobili per l’uomo non doveva avere una utilità pratica come è il caso delle cosiddette “macchine inutili”.

3) Oggi il progresso tecnologico ha quasi del tutto sostituito la manualità dell’uomo all’interno nel processo produttivo, ma sussistono casi in cui l’abilità dell’occhio umano non può essere sostituito dalle macchine. È questo uno dei motivi per cui non è corretto equiparare la scienza applicata alla tecnica.