Non mi addentro nella storia del nostro Paese limitandomi a quella più recente per tentare di spiegare in che situazione ci troviamo, i cui responsabili sono COLORO che ci hanno governato e ci governano e anche NOI che gli abbiamo permesso di farlo.
L’esplosione della cosiddetta “crisi economica” ha cause riconducibili essenzialmente all’aver voluto sostenere una crescita economica di tipo esponenziale affidandosi alla “finanza”, più o meno virtuale, a discapito dell’economia reale, fatta cioè dalla lavorazione e trasformazione della materia prima per realizzare beni di consumo. L’economia reale non poteva e non può certo garantire una crescita economica con quella curva di crescita, anche perché fisiologicamente il mercato tende a saturarsi, allora si pensò di creare altra ricchezza (“virtuale”) affidandosi “finanza”, si coniò anche il termine di “finanza creativa”..
Terminata la prima fase della crisi dopo l’esplosione della “bolla finanziaria” a causa del’inconsistenza della “ricchezza” creata in questo modo, si è conseguentemente attraversato un periodo (non certo breve) di recessione. Gli analisti ci dicono da qualche tempo che la recessione sta per finire e inizia la ripresa, ma questa puntualmente viene rinviata ad un periodo successivo e quando si avverte un timidissimo segnale di ripresa, questa delude drasticamente le aspettative degli stessi analisti. In verità di ripresa vera e propria non se ne vede ancora l’ombra.
In Italia la situazione è molto più grave di quella degli altri Paesi industrializzati, perché prima sull’onda della speculazione finanziaria e poi con il sopravvento della crisi, non si è provveduto adadeguare il sistema produttivo alle nuove tecnologie e all’utilizzo dei nuovi materiali che stanno aprendo nuove frontiere e sviluppando nuove tecnologie. Quindi già prima del sopraggiungere della crisi si è cominciato a “riconvertire” il Paese da una economia basata sull’industria e l’artigianato, ad una basata sui servizi, il cosiddetto “terziario”, imitando il “modello” della Gran Bretagna che aveva intrapreso già dagli anni ’80.
Ma tra l’Italia è la Gran Bretagna, c’è una grossa differenza che è la causa principale del fallimento del tentativo di riconversione del nostro Paese su questa via perché il problema è “l’affidabilità”!
L’Italia NON è minimamente paragonabile alla Gran Bretagna per affidabilità, sia per il suo sistema giudiziario non in grado di garantire, non solo tempi certi della giustizia , ma nemmeno la certezza del diritto, che per l’inaffidabilità del nostro sistema politico largamente inquinato da corruzione, da incapacità e mal governo, per non parlare poi del minor peso internazionale dell’Italia nel Mondo rispetto alla Gran Bretagna. Per cui un’economia basata sui “servizi” non può che stentare a decollare nel nostro Paese e ben pochi dall’estero investono in Italia e primi a non farlo sono proprio gli stessi italiani.
In una condizione del genere, è chiaro che con l’avvento della crisi, se non si cambia rotta in maniera decisa nella politica economica, negli investimenti, nella pressione fiscale e nell’ammodernamento degli apparati statali e degli Enti territoriali per semplificare e razionalizzare seriamente il loro funzionamento, il nostro Paese non può che segnare il passo ed anzi addirittura continuare inesorabilmente a decrescere, cosa che sta facendo. L’attuale Governo e quelli precedenti hanno tentato di porvi riparo con palliativi che lasciano il tempo che trovano e che non sortiscono l’effetto sperato e addirittura sovente sono la causa del continuo impoverimento della stragrande maggioranza della popolazione, la quale gradatamente sta anche a perdendo i diritti acquisiti.
Ma ad errori si sommano errori. Anziché affrontare il problema per quello che è, ovvero la perdita di molte industrie e aziende artigianali che hanno ridotto seriamente la potenzialità produttiva del Paese, basata sulla trasformazione e lavorazione della materia prima, si sta ripiegando verso la incentivazione della “tecnologia virtuale” che molto meno impatta come investimento: mi riferisco ad esempio alle applicazioni app, o allo sviluppo di servizi o di altre applicazioni collegate alla rete internet, ecc.. Queste tecnologie, anche se spesso utili, si collocano comunque nel settore dei servizi come “strumenti per i servizi” e non sono in grado di realizzare molti posti di lavoro e le imprese che nascono a seguito di tale tecnologie molto spesso non restano attive a lungo. Il punto è che queste tecnologie e le imprese che le sviluppano e commercializzano, possono sopravvivere solo in presenza di un’economia reale in grado generare domanda di servizi e che permettono di mantenere un certo livello di ricchezza. Da sole queste tecnologie “virtuali” sono come un grattacelo senza fondamenta, prima o poi crolla ed è quello che credo accadrà prima o poi, ovvero si assisterà al conclamarsi di una nuova crisi e passeremo da quella derivata dalla “bolla finanziaria” a quella ben più grave della “tecnologia virtuale”!
22 aprile 2016 Placido Munafò