Prendendo spunto dalle ultime competizioni elettorali, locali e nazionali, non si può non notare il fiorire di liste civiche  - nel caso di comuni, provincie e regioni - e cosiddette indipendenti, in ambito nazionale. La gran parte di queste liste nella realtà sono

propaggini dei partiti, una sorta di “specchietto per le allodole”, pochissime sono infatti le liste realmente indipendenti e che rappresentano un distinguo chiaro rispetto ad essi. Ma allora perché i partiti stessi che si ritengono “tanto forti e rappresentativi” ricorrono a questi stratagemmi? La questione è semplice da spigare.  Con questo stratagemma cercano di intercettare il voto dei molti che manifestano un diffuso malumore verso di loro. Questa operazione, che definirei tutt’altro che trasparente, a dire il vero  non è del tutto disconosciuta da molti elettori i quali, o per conoscenza diretta dei candidati in queste liste o per cercare una sorta di coerenza, solo apparente, rispetto al loro risentimento verso i partiti, votano queste liste civetta. C’è un tentativo della classe politica tradizionale,vassalla del potentato economico, di travestirsi  per apparire diversa. Questo è il senso delle liste civiche o indipendenti “civetta”. Ma questo fenomeno, chiamiamolo così, altro non è che l’effetto del timore concreto della classe politica (a tutti i livelli) del venir meno del suo ruolo di rappresentanza delle esigenze della società. Nel contempo oggi la nostra classe politica è ancora per certi versi, lo specchio quasi fedele della nostra società. Gli italiani si lamentano dei loro politici quando sono lontani dal voto, ma poi alle elezioni continuano a dare loro il consenso: politici e partiti denigrati prima, ma poi votati. Questa è l’Italia fatta da italiani che nella maggior parte dei casi si accontentano del piccolo favore, oppure, nel migliore dei casi, sono rinchiusi in un tifo ideologico “da stadio” oramai anacronistico che non gli permette di distinguere la realtà dei fatti dalle menzogne che vengono loro propinate. Stante così le cose il cambiamento che tanto si sbandiera, solo a parole, da decenni non potrà avvenire in tempi brevi. Basti pensare da quanti decenni si parla di riforme. La verità è che i privilegi dei partiti e della elite politica, ma soprattutto economica italiana (sia in ambito locale che nazionale) non possono e non devono essere intaccati, per l’esigenza imprescindibile di mantenere le posizioni acquisite: ecco perché c’è una forte resistenza dei “poteri forti” al cambiamento. Però, se sino a ieri questa “elite” rappresentava nel bene e nel male la società e riusciva a condizionare le aspettative della gente, oggi non ha più il tacito consenso della popolazione che un tempo vedeva, nella maggioranza dei casi, coincidere i sui interessi con quelli della “elite” stessa. Oggi comincia a farsi sentire la difficoltà dei “poteri forti” ad imporre il loro progetto sociale, perché i loro interessi non coincido quasi più con quelli della maggioranza della popolazione. Da qui la crisi del sistema Italia che si comincia ad intravedere. Purtroppo però questa crisi è cavalcata in parte dalla stessa “elite” che come al solito cerca di riciclarsi (si veda cosa è successo in Italia negli anni ’90 dopo tangentopoli che non ha certo cambiato l’elite che, direttamente e indirettamente, ha continuato a governare il nostro Paese) ed in parte da quelli che ho definito “tifosi” che certamente possono cavalcare la piazza, ma non sono portatori del rinnovamento necessario, essendo perlopiù cristallizzati su vecchi schemi ideologici oramai desueti.

Lentamente e faticosamente, con molta inerzia, la nostra società civile si sta muovendo percependo, anche se ancora non chiaramente, l’esigenza di un cambiamento che ha le sue radici nella ricerca di una guida politica in grado di risolvere concretamente i suoi problemi, esigenza oggi abbastanza distante, come ho accennato prima, da quella espressa dall’elite che sino ad oggi ha governato. Sono differenti le soluzioni che sono richieste dalla società civile, da quelli perseguiti dall’elite.

Non vorrei che la lentezza con cui si sta muovendo la società civile italiana nel ricercare il nuovo, dia spazio a quella che ho definito “elite” per continuare a gestire, anche se in termini diversi rispetto a quanto ha fatto sino ad oggi, la politica, imponendo suoi modelli. Così si rischia di ritornare allo status quo senza che i più se ne rendano conto.